Francesco Pessina, scolpire a Filicudi
di Ginger Bouvard
È l’ora del tramonto di un gennaio eoliano ventoso, insolitamente rigido. Un sole
a b b a c i n a n t e l u m e g g i a l ’indolenza del cielo per t r a v o l g e r e l a z o n a d i Montepalmieri, da cui Filicudi selvaggia e silenziosa si mostra nella sua bellezza arcaica e senza tempo. Come una donna che non possiede età, l’isola vibra di energia vulcanica, di una carica sensuale ancestrale che sibila assieme al vento di Ponente tra i sentieri acciottolati
Filicudi non appartiene ad un’epoca o ad un contesto g e o g r a fi c o d e l imi t a t o.
Appartiene solo al suo mare e ad un’era eterna e trasversale a tutte le altre ere. È qui che Francesco Pessina annota sulla pietra vulcanica le sue visioni scultoree: ssenziali, primitive eppure intellettualmente raffinatissime.
Il noto artsta di origine magentina si trasferisce nella più mistica delle Eolie nell’inverno del 1976, significativo anno di svolta esistenziale e creativa per il suo percorso di ricerca artistica.
La sua casa atelier si erige su un’altura da cui è visibile buona parte dell’isola e da cui si governa poeticamente terra e mare, pur rimanendo, sia chiaro, alzati dalla superficie, per lo meno nella misura di 300 m di altezza e in termini di immaginazioni aerostatiche non quantificabili.
La ricerca dell’autenticità richiede un considerevole sforzo, sia spirituale che fisico, ritiene Pessina.
È per questo che la sua soltanto apparente solitudine è popolata di libri ed ottimiamici: anzi tutto, le sue sculture, ma anche letture alchemiche, ritmi jazz alla Duke Ellington intervallati da colpi di scalpello, passeggiate mattutine, meditazioni offerte alla luna e, soprattutto, la lettura del rito magico del sogno, che, come insegna Pessina stesso, non è altro che il linguaggio dell’Invisibile.
È per questo che le sue opere paiono appartenere ad un senso di virtù e di bellezza non contestualizzabile, al di fuori delle dinamiche logiche e spazio temporali, e, in ogni caso, lungi da astrazioni e simbolismi forza?.
È per questo che la direzione della sua indagine esula le mortificazioni logiche e filosofiche contemporanee, laddove, nell’introdurre i suoi lavori ad un’ospite curiosissima quale la sottoscritta, rivela, sorridendo: “Più si intende possedere la Verità, più questa sarà sfuggevole”.
Eppure, Pessina la sua personale Verità la racconta nel modo più semplice (non è forse la semplicità la più alta sfida dell’umano ondivago cercare?) ed eterno possibile. Una Verità narrata attraverso raffigurazioni totemiche – che per alcuni richiamano significa? ancestrali, per altri sculture primitive, per altri ancora immagini sacre archetipiche.
Il Maestro ne rivela l’origine con una naturalezza che, solo in seguito, scoprirò essere sua peculiarità incrollabile. “La materia aveva già in sé la forma che ne ho tratto. La pietra possedeva già le linee segrete che io ho soltanto svelato”. E poi continua, indicando una ad una le sue sculture: “Vedi, qui sono un guerriero, qui invece un profeta, qui un satiro. Ciascuna opera coincide con un ben preciso momento di comunicazione con il Divino.”
Le sue parole, così come la sua arte, fuggono da ogni retorica, balenano come un tuffo spontaneo nel suo amato Mediterraneo, esplodono come la sua risata ironica sulla vita e sulla morte. Sul senso e il n o n s e n s o c h e s t a d i e t r o all’apparenza delle cose.
Se è vero che farsi beffa delle sequenze temporali e aritmetiche è privilegio di spiriti eletti alieni e bizzarri che fanno della musica d e l l ’u n i v e r s o u n a me l o d i a
primordiale capace di anticipare tutte le epoche per attraversarle a volo d’aquila una ad una, allora il Maestro è l’aviatore ideale cui affidare la guida di questo gran concerto cosmico.
In un tempo in cui l’arte contemporanea insegue la megalomania di un’emotività microscopica, commuove incontrare la grandezza di pianeti sommersi agli occhi dei più e che, grazie a Francesco Pessina, emergono dalla semplicità di gesti antichissimi.
Dall’uomo che scolpisce la pietra
Pura poesia