di Manuela Latrofa

psicologa

Potremmo sentirci colpite ed affondate dall’essere state inserite dal nostro amato Mazzilli (vedi articolo “Tipe da bar”) in sterili categorie da bancone, che hanno ridotto al minimo la nostra individualità;

ma come ogni cosa che ci irrita o ci tocca particolarmente, colpisce quasi nel segno… e dunque, canalizziamo la nostra rabbia o irritazione

in qualcosa di più costruttivo per noi stesse: la consapevolezza.

Nonostante la provocazione, il nostro artista del beverage ci rivela una grande verità: i ruoli che ricopriamo nella nostra vita o, come direbbe il famoso psicologo canadese Eric Berne, i giochi che giochiamo.

Siamo esseri relazionali e, come tali, nella comunicazione verbale e non verbale (posture, espressioni, atteggiamenti)

trasmettiamo ed inviamo messaggi, al fine di ottenere le risposte affettive di cui abbiamo bisogno e incontrare l’altro.

I giochi che giochiamo, sono i ruoli che ci siamo scelti, più o meno consapevolmente nella nostra vita, per lo più in giovanissima età.

I ruoli sono pattern comportamentali, “copioni”, insiemi di atteggiamenti, comportamenti, posture,

pensieri e valori, acquisiti o ereditati, che ci consentono di destreggiarci nel mondo con sicurezza per ottenere quello di cui abbiamo bisogno o desideriamo e perché l’altro ci rimandi l’immagine di noi stessi che più ci piace, o che siamo abituati a ricevere. Bisogni di sicurezza, protezione, riconoscimento, attenzione, controllo, potere e sostegno.

Così attiviamo una serie di azioni e comportamenti volti a soddisfare tali bisogni inviando al nostro interlocutore una richiesta indiretta e aspettandoci da noi stesse ciò che concerne il nostro ruolo. Allora entreremo nel gioco di aspettative reciproche, in cui l’altro ci vede come “fighe di legno”, distaccate, snob e poco profonde e noi in qualche modo agiremo come tali non spingendoci oltre perché così non saremo obbligate a vivere quella fastidiosa insicurezza che ci rende vulnerabili, o probabilmente è questo che crediamo accadrebbe.

In questo modo cadremo nel nostro gioco, recitando il ruolo della crocerossina, della pecora nera, dell’amicona, della calamita per uomini impegnati, della donna da sposare, e chi più ne ha più ne metta. E tutte le volte ci chiederemo, ma come mai mi trovo sempre nelle stesse situazioni? Come mai tutti gli uomini così capitano a me? Come mai a lavoro vivo le stesse dinamiche e vissuti del liceo?

Se vi è capitato è perché inconsapevolmente state attivando un gioco, quel gioco che vi ha permesso di soddisfare i vostri bisogni esistenziali più arcaici e che avete scelto quando ancora non potevate occuparvi autonomamente di voi stesse, ma che adesso con l’avanzare delle età e le nuove risorse acquisite forse non vi serve più. Non è più funzionale alla vostra vita perché non rispecchia il vostro bisogno autentico, del qui e ora, ma è il lascito di vissuti infantili.

E allora, la rabbia provocata dall’articolo di Mazzilli è un’ottima risorsa per fare un check up di noi stesse e chiederci, è proprio questo di cui ho bisogno, a che gioco voglio giocare?

Uscire dalla zona di comfort e sperimentarci lasciando il nostro schema abituale, per comprendere davvero chi siamo in linea con quello che sentiamo ed essere registe della nostra vita.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Abilita le notifiche per non perderti nessun articolo! Abilita Non abilitare