GRA (Donna) energia rinnovabile d’Albania.
di Luigi Triggiani
segretario generale Unioncamere Puglia
L’Albania diventerà presto un paese europeo. Grazie alla sua posizione che non potrà essere marginalizzata ancora a lungo e grazie o nonostante alcuni uomini che la rappresentano; ma soprattutto grazie al suo turbo nel motore: la donna.
Nell’ultimo quarto di secolo, un periodo molto breve, che ha visto questo piccolo paese cambiare come pochi altri in Europa, le donne albanesi sono state davvero determinanti. Oltre ogni immaginazione.
Passeggiando per le strade di Tirana o facendo zapping sulle tv albanesi balza subito agli occhi un dato: i giovani hanno assorbito come spugne le tendenze e i modelli consumistici occidentali. Nella capitale, anche nei periodi di maggiore crisi, da almeno dieci anni fioriscono centri di estetica e chirurgia plastica e – come in molti altri paesi, non solo in quelli a sviluppo differente – il prodotto femmina da esposizione è molto utilizzato in comunicazione, trascinando con se migliaia di giovani donne e di teenagers del paese più giovane d’Europa. Escluse dal gruppone lifting e fondotinta, per motivi di budget, almeno altrettante donne che hanno un salario netto di 200 euro al mese e quelle, ancor più sfortunate, che non hanno nemmeno un lavoro.
La forza delle donne ha costituito un volano importante per la stessa nascita dell’economia albanese, geograficamente non molto fortunata e annientata da mezzo secolo di dittatura cieca e furiosa. Il veicolo economico più visibile – le cattive notizie girano alla velocità della luce – è stato quello della prostituzione: soprattutto nei primi anni novanta, dopo il crollo del regime, prese con la forza o con consapevolezza, migliaia di giovani donne si sono trovate sul marciapiede.
Spesso queste ragazze sono state ripudiate dalla famiglia di origine, non potendo tornare a casa, nell’unico elemento di protezione in un paese dissolto: il detto “puttana una volta puttana per sempre” è quanto mai adeguato a tratteggiare il punto di vista di buona parte degli albanesi dei primi anni della loro giovane democrazia e degli sbarchi sulle nostre spiagge.
Eppure, pochi dicono che queste donne così disprezzate mandavano a casa i soldi con regolarità. Ed era un fiume di valuta pregiata, in un paese allora allo stremo. La famigerata “ricostruzione dei Balcani”, al di là dei meriti della Cooperazione Internazionale, soprattutto italiana, è stata anche una loro impresa.
E accanto a queste donne dal profilo più tristemente noto, ce ne sono tantissime altre, straordinarie, le moderne protagoniste della crescita sociale ed economica: sorridenti, toste, silenziose, timide, colte, quasi indifese eppure sempre fiere. In una sola parola: eroiche. Sesilia, Silva, Aljie, Klodiana, Anila, Donika, June, Alma, Ambeta, Ardiana … Per raccontarle tutte ci vorrebbe un libro. Ho già il titolo, quasi soltanto quello: Gra (donne, in albanese).
Oggi vi presento Oneda e Ediona, madre e figlia: Ediona è nata a Bari, per miracolo, la notte di San Silvestro del 1993. Suo padre, Edi, lavorava qui, era stimatissimo e aveva un reddito decoroso e un regolare permesso di soggiorno; una burocrazia demenziale, resa forse ancor più intollerabile dal quasi consueto assioma secondo il quale creare disservizi può essere funzionale a concedere favori, gli ha impedito fino all’ultimo il “ricongiungimento familiare”, cioè la possibilità di accogliere in Italia sua moglie e condividere con lei i momenti più belli, che per Oneda sono stati molto problematici. Bloccata in Albania, Oneda ha avuto una gravidanza difficilissima: Lei e sua figlia Ediona hanno rischiato la vita.
E invece gli italiani dell’accoglienza, medici importanti e umili cittadini, le hanno aiutate. L’hanno fatto con loro e con altre decine di migliaia di albanesi, in quegli anni. Forse solo perché paura e pregiudizio non si erano ancora impadroniti di molti di noi.
La ferrea determinazione di Oneda ha fatto il resto: Ediona ha imparato a camminare a Bari, in piazza Garibaldi, appena prima che i suoi decidessero, quasi d’impulso, di cambiare vita; qui non avevano la rete dei nonni né un tetto, nessuna vera chance di crescita, e così decisero di tentare il sogno americano; nessuno dei due parlava inglese e la timidezza di Oneda le impediva di parlare persino in italiano, ma la decisione era presa: New York. Quando sono andati via ero preoccupato, anzi disperato.
Soltanto pochi anni dopo la loro vita era cambiata radicalmente. Oneda, laureata in matematica, insegnava nel Bronx, scuola ai margini, da film di genere; aveva cercato e scelto un incarico in una scuola pubblica per garantire un’assicurazione previdenziale per la famiglia, servizio costosissimo negli Stati Uniti. Edi riscuoteva finalmente il successo che si meritava. Avevano già una casa tutta loro, ma non bastava. Il piano pluriennale, di derivazione metodologica comunista, non prevedeva momenti di relax. Occorreva cominciare a pensare al futuro della piccola Ediona. E siccome in USA le migliori facoltà, quelle che ti fanno fare davvero il salto, sono alla portata dei milionari o dei grandi atleti, a meno di dieci anni Ediona si appassiona alla scherma, perché i genitori studiano il mercato e verificano che nella scherma c’è minore concorrenza, puoi diventare un campione con meno difficoltà, se non hai il fisico del cestista, e cosi evitare di spendere per rette universitarie da molte decine di migliaia di dollari all’anno.
Tutti i giorni Edi passa a prendere sua figlia dall’uscita da scuola, percorre due ore di strada per accompagnarla a lezione da un allenatore molto bravo e costoso. Ediona pranza, cena e studia in auto. Per anni. E la domenica si allena in cantina, contro un fantoccio costruito dai genitori.
Finché arrivano i risultati, eccellenti, dallo sport e dalla scuola. Questo le consente di scegliere tra le migliori università degli States e di diventare, anni dopo, manager in una grande azienda a Manhattan. Oneda intanto si ammala, una guerra durissima, estrema. Lei decide, semplicemente, straordinariamente, di non avere il problema. Non perde un solo giorno di lavoro, al solo scopo di comunicare alla famiglia che va tutto bene.
Oneda parla pochissimo, ma dietro ogni decisione familiare c’è lei, e vince ogni battaglia, in maniera assolutamente sorprendente. Edi, Oneda, Ediona e Christiana, arrivata 7 anni dopo e dotata di una dialettica che la porterà lontano, sono ancora tutti felicemente in prima linea: agguerriti, positivi, solidi come il granito dei monti dell’Albania.
Un grande esempio. Un grandissimo insegnamento per me e per tutti quelli che li hanno conosciuti.
PH: Donne albanesi in costume popolare, Foto Jakova
http://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/schede/IMM-3r010-0001780/