Le donne dell’America Latina si prendono la strada contro la violenza “machista”
“La protesta a Santiago del Cile (Foto Ansa)“

 
 

di Giulia Reina

Appena atterrata a Santiago del Cile, ho capito che saremmo diventate ottime amiche.
La parola ideale per identificare Santiago è “contraddizione”.
Ad esempio i cileni, nonostante la loro fisionomia, adorano i pick up. Una volta lasciato l’aeroporto a bordo di un altissimo – appunto – pick up rosso, ho cominciato a intravedere lo skyline tra le Ande: ed ecco che attraverso Avenida Andrés Bello mi sono ritrovata immersa nelle vere contraddizioni.
Grattacieli interamente fatti di vetro torreggiano su un lungofiume di piste ciclabili e sculture, tra le distese verdi dei parchi. Una bellezza probabilmente pensata per mascherare con eleganza l’aridità del Rio Mapocho.
Ma l’anomalia più affascinante e, allo stesso tempo, più spaventosa, riguarda la donna.
In questo Paese fortemente cattolico e conservatore, che ha subìto la violenza di una dittatura crudele, la donna può ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, ma non può scegliere di abortire.
Addirittura, fino alla depenalizzazione dell’aborto intervenuta nel 2017, la donna rischiava il carcere e oggi può decidere di porre termine alla gravidanza soltanto nei limitati casi stabiliti dalla legge.
La donna cilena è una combattente. Non chiede protezione, ma giustizia. Denuncia gli abusi e manifesta la propria indignazione nei confronti delle istituzioni che dovrebbero punire e non nascondere.
La donna cilena è anche artista. Nel cuore di Santiago ho scoperto il museo interamente dedicato a Violeta Parra, donna dal “multiforme ingegno”, cantautrice, poetessa e pittrice cilena, autodidatta e talentuosa, ma anche madre, compagna, viaggiatrice.
Una volta varcata la soglia della porta a vetri, la voce dell’artista accompagna il visitatore per tutta la durata del percorso. Violeta dipinge, modella, disegna, ricama, suona, canta, scrive, sperando di placare il suo spirito inquieto e attento, cercando una pace che non troverà mai (morì suicida nel 1967).
Ma il Cile, nonostante l’animo profondamente conservatore, è anche il Paese dei “café con piernas”, letteralmente “bar con le gambe”, locali di grande tendenza – tutta made in Cile – in cui il caffè e altre rapide consumazioni sono servite da bellissime donne dalle lunghe gambe che possono sfilare o addirittura flirtare con i clienti, in un’atmosfera stuzzicante ma mai volgare.
La donna cilena è anche una musa, come Matilde Urrutia, l’ultimo amore di Pablo Neruda, da lui giocosamente appellata “la Chascona” per la vaporosa capigliatura rossa e che ha dato il nome alla casa del poeta a Santiago. Spinta dal grande amore per il marito, Matilde è stata sua grande sostenitrice anche dopo la morte, arrivando a contrastare il governo di Pinochet che tentava di seppellire la memoria del poeta.
Nella casa-museo situata alle pendici del Cerro San Cristobal, si ritrovano i segni della devozione di Pablo, come le iniziali dei coniugi cesellate nelle ringhiere delle finestre, incastrate perfettamente tra loro per formare un unico simbolo, come in un eterno abbraccio.
Eterno come il ricordo di questo viaggio, lungo ma troppo breve (sono diventata anch’io contraddittoria), reso indelebile da un ultimo cielo infuocato di tramonto.
Si dice che in un posto puoi lasciarci il cuore: ma è Santiago ad avermi regalato un pezzetto del suo, con la sua musica, i suoi profumi e le sue contraddizioni.

 

 

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