pic by https://www.viaggiolibera.it/tag/giappone

di Giulia Reina

“La tazza e il bastone. Storie Zen”. Il titolo del libro che Paolo custodisce sul proprio comodino. Titolo particolarmente evocativo, soprattutto per chi Paolo lo conosce. La sua serafica attenzione ai dettagli, la cura che rivolge al proprio aspetto, alla propria casa e alla sua amata Chiara non fanno solo parte di una filosofia, ma sono la sua essenza.

Lo affascina l’ordine. La precisione. La cura del dettaglio. Paolo è un gran lavoratore. Un ragazzo pacato ma determinato, che affronta la vita sempre con grande calma e risolutezza. Si può dire che proprio in virtù della sua natura si è avvicinato all’Oriente, in particolare al Giappone.

Durante la nostra chiacchierata, Paolo racconta che il suo viaggio con l’inseparabile Chiara non ha fatto altro che confermare e rafforzare l’idea che aveva del Giappone.

Sinonimo di spiritualità, di rispetto verso le persone e verso la natura, di dovere, di onore (nella sua massima espressione di senso di responsabilità): è esaltazione della semplicità e della sua bellezza.

Nella caotica metropoli di Tokyo, entrando nel giardino Shinjuku Gyoen, è come se si avesse la possibilità di abbassare il volume e la velocità di tutto ciò che è percepibile quando sei per le vie della città. Il giardino è una delle tante dimostrazioni di come la ricerca della perfezione e dell’armonia da parte dei giapponesi, nonostante il passare dei secoli, sia probabilmente ancora la loro caratteristica principale. Non un semplice parco verde di una metropoli come può essere Central Park per New York, perché a differenza di Central Park, il giardino Shinjuku Gyoen con i suoi fiori, le sue lanterne, i suoi laghetti, i suoi piccoli ponti ti avvolge della profonda spiritualità che ha caratterizzato la storia e la cultura del paese.

pic by: https://www.marcotogni.it/shinjuku-gyoen/

Quando, poi, si entra nella casa di un samurai, la visita diventa un momento solenne. Le stanze, le pareti, le porte con la carta di riso… tutto trasmette serenità. Quelle case sono il riflesso della cultura storica giapponese: la semplicità delle cose, degli oggetti, dei dipinti che racchiudono un grande significato, dove il valore spirituale domina sul valore materiale.

Kyoto è la città che conserva ancora l’essenza del Giappone antico. Passeggiare per le vie di Gion o per i quartieri di Sannenzaka e Ninenzaka è stato come andare indietro nel tempo.

Vedere il sole tramontare dietro la pagoda del tempio Hokan-ji, in quel contesto, è stato veramente emozionante.

pic by: https://www.darlin.it/inspiration/questimmagine-stata-definita-la-fotografia-piu-bella-kyoto/

Visitando il tempio di Yasaka, di sera, ci si sente come rassicurati dalla spiritualità del posto. Un silenzio affascinante interrotto a volte dal suono della campana e dal battito delle mani delle persone (per segnalare la loro presenza alla divinità del posto) che si fermano nel tempio per recitare le loro preghiere.

Tuttavia, la sacralità del tempio è percepita diversamente rispetto al concetto cristiano cattolico: contrariamente a quanto si possa credere, i giapponesi rivolgono delle vere e proprie richieste materiali alle divinità (soldi, auto, case ecc.). Inoltre, non ci sono codici di abbigliamento per poter accedere ai luoghi sacri; difatti, durante una delle loro visite guidate – racconta Chiara – hanno assistito alla timida sfilata di una giovane donna in preghiera, vestita con un cortissimo tutù nero ricamato con unicorni viola ed una maglietta fina tempestata di fiocchetti rosa.

Ma la caratteristica più evidente dei giapponesi è la loro capacità di apprezzare e rispettare la Natura, concetto che comprende anche l’opera dell’uomo. Lo si desume dalla cura che hanno delle città, della pulizia, dei giardini, ma anche dal rispetto verso il prossimo, dalla voglia di essere sempre utili, come quel ragazzo che ha preferito aiutare Paolo e Chiara, due turisti sconosciuti, a raggiungere la loro meta, guidandoli nei meandri della metropolitana, anche se ha significato andare nella direzione opposta alla sua.

Lo si deduce dalla loro usanza di inchinarsi sull’uscio dei negozi per accogliere e poi congedare i visitatori. Lo si deduce dalla pratica della meravigliosa arte del “kintsugi”, ossia la riparazione degli oggetti di ceramica con l’oro. Il prezioso metallo serve non solo a riunire i pezzi di tazze e bicchieri, vittime di disattenzioni o della semplice quotidianità, ma anche ad evidenziare quelle fratture, quelle cicatrici, perché l’imperfezione, il danno, sono parte della natura umana.

 

pic by: https://esprit-kintsugi.com/it/kintsugi_l_art_de_la_resilience/

 

Non bisogna vergognarsi delle ferite: bisogna ricordarle e farne (letteralmente) tesoro.

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Abilita le notifiche per non perderti nessun articolo! Abilita Non abilitare