Descension - esplorazione del profondo di Anish Kapoor

 

Anish Kapoor, Descension, Esplorazione del profondo, 2018

pic by: http://www.artecinema.org/new-events-1/2015/12/3/anish-kapoor-descension

 

di Manuela Latrofa

psicologa

 

Non possiamo fare a meno di notare che in qualsiasi contesto ci affacciamo, dalla palestra sotto casa, al nuovo locale per il tempo libero, dall’Hotel con Spa, alle ultime news sulle aziende più all’avanguardia, dalle più recenti scoperte alimentari, fino ad arrivare alle tecniche per ritrovare il proprio benessere,  si respira una ventata di Oriente.

Siamo circondati da centri yoga e pilates, da racconti zen per avvicinarci alla consapevolezza, da locali tropical-asian-exotic bar in cui bere un drink per poi ritrovarsi a partecipare ad un rituale di rinascita stile antico Egitto.

Si tratta davvero solo di mode? Insomma di buone trovate del marketing, perché l’esotico, si sa, tira sempre? Direi proprio di no!

Alla base c’è una forte necessità dell’uomo occidentale di riacquisire una parte di sé, dimenticata: il contatto con se stesso e con l’altro. Si, perché l’uomo di questo emisfero è calato in una società liquida, come direbbe Bauman. Una società fatta di immediatezza, velocità, vetrina e immagine. Una società in cui dal niente puoi diventare tutto e dal tutto puoi ritornare al niente (almeno apparentemente), con grandi aspettative su di sé e sul futuro, in cui si è sempre proiettati in un altro tempo, in un altro spazio, alla ricerca di un momento migliore, un lavoro migliore, un compagno/a migliore.

La società dell’incertezza e della possibilità in cui come affermava Lasch “ l’Io contemporaneo si presenta sempre più come un Io debole, non più protetto e sorretto da convinzioni, regole e percorsi esistenziali pre-definiti e pre-visti, che lo mettono a riparo da scelte fondamentali nel corso della vita ma radicalmente e drammaticamente libero di scegliersi e di ascoltare, dentro di sé, alternative diverse di sviluppo”.

E così, si sperimentano vissuti di angoscia, di paura, di disperazione e impotenza, in cui si teme la solitudine perché è fatta di vuoto – paradosso: il vuoto è la massima aspirazione yoga/zen – e non di se stessi, perché troppo distratti dal tran tran quotidiano per soffermarsi ad ascoltarsi e coltivarsi. Si vive lo stress psico-fisico, l’insonnia, l’isolamento finchè non si sceglie di fare qualcosa.

Ed è qui che il bisogno di Oriente si manifesta come un buco nero, una lacuna, un vuoto interiore da colmare. Perché l’uomo tende sempre al benessere, anche inconsciamente. E che cos’è l’Oriente se non una dimensione spirituale, per ritrovarsi, in cui potersi ascoltare, in cui FERMARSI ed entrare in contatto? Così a volte serve solo una scusa e ci si ritrova a riscoprire il sapore del cibo e del gioco sperimentandosi con delle bacchette tra le mani, oppure emozionandosi nell’ascolto del proprio respiro in una postura Yoga, o ancora riuscendo ad abbandonarsi nel mezzo di un rituale o in una meditazione, e a stupirsi di come ci si sente liberi quando per un momento, riusciamo a mettere a tacere i pensieri spesso limitanti e giudicanti.

Il bisogno di oriente è la ricerca di questi luoghi, di queste pratiche per recuperare il contatto con il proprio corpo e scoprire che non è solo un contenitore ma è il teatro delle nostre emozioni.

Benvenuto, allora, Oriente!

 

“Il luogo del vuoto, che poi paradossalmente è pieno: di paura, di oscurità. Che lo rappresenti con uno specchio o con una forma scura, è sempre il «fondo» il punto che attrae il mio interesse e mette in moto la mia creatività” (A. Kapoor).

 

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