Il fascino dell’acqua, perché amare la cultura Giapponese
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di Vito Paniello
“L’acqua non aspetta mai. Cambia forma e scorre attorno alle cose, trovando sentieri segreti a cui nessun altro ha pensato: un pertugio nel tetto od un piccolo buco in fondo a una scatola. Senza alcun dubbio è il più versatile dei cinque elementi.”
“Conduciamo la nostra esistenza come acqua che scende lungo la collina, andando più o meno in un’unica direzione finché non urtiamo contro qualcosa che ci costringe a trovare un nuovo corso”
Arthur Golden, Memorie di una geisha
Il tema di questo nostro numero: “Orientalis karma” non può che far sentire particolarmente chiamati in causa tutti coloro che, come chi scrive, da tempo sono orientati, letteralmente rivolti verso l’oriente verso una terra e un popolo che ci affascinano e attraggono il nostro interesse.
Mettendo per un attimo da parte la vocazione geek del nostro spazio, vorrei soffermarmi sulle motivazioni che sostengono il nostro interesse per raccontarle anche a chi si affaccia su questo spazio per la prima volta, magari spinto dalla tematica generale della nostra rivista. Cosa ci affascina di questo paese, lontanissimo geograficamente e culturalmente dal nostro, intriso di contraddizioni a volte laceranti, con un alfabeto ideografico e non fonetico, con una storia che solo negli ultimi secoli si è intrecciata con quella dell’occidente?
La lontananza geografica con l’arcipelago del Giappone (che conta più di seimila isole) traduce in kilometri la distanza che c’è tra la nostra cultura e quella del popolo Yamato. Per esempio, trovo estremamente affascinanti le differenze che intercorrono tra i nostri alfabeti: il nostro, basato su lettere fonetiche, forma le parole mettendo insieme le lettere; l’alfabeto giapponese invece si basa su un insieme di logogrammi (i kanji) due sillabari (hiragana e katagana) e in alcuni casi dell’alfabeto latino: ne deriva quindi un grado di complessità estremo nella scrittura e nella comprensione del testo, una stessa parola può essere scritta in diversi modi e, soprattutto per quanto riguarda la scrittura ideografica, la scelta dei simboli utilizzati influisce sul significato della parola stessa. Una profondità e una pluralità di significati che ben si sposa con la complessità delle tradizioni che caratterizzano la cultura nipponica. Sono riti ancestrali che fondano su basi completamente diverse dalle nostre, e per questo ai nostri occhi nuove e affascinanti. La storia giapponese non ha ovviamente risentito per nulla dell’influenza della cultura classica delle popolazioni del bacino del mediterraneo, anzi durante il periodo Edo (XVII XIX sec) il Giappone scelse la politica del Sakoku, termine con il quale si indicano le politiche autarchiche di isolamento nei confronti del mondo esterno che ebbe fine solo nel 1853. Il pantheon religioso che fino al 1946 includeva la figura dell’imperatore, considerato una divinità è popolato da figure mitiche che ritroviamo negli intrecci narrativi dei moderni manga e anime insieme ai valori e ai precetti ereditati dall’epoca dei guerrieri samurai.
La versatilità del popolo giapponese si è concretizzata nella capacità di rialzarsi dopo le diverse calamità che hanno colpito il paese in un territorio estremamente esposto a catastrofi naturali (il terremoto del 2011 è stato uno dei più violenti nella storia e il conseguente tsunami che ha danneggiato la centrale elettrica di Fukushima ne è stato una diretta conseguenza). Questa resilienza collettiva è resa possibile dal senso di appartenenza e di sacrificio del singolo nei confronti della comunità. Tutto ciò non è privo di contrappasso e proprio sul benessere del singolo si sviluppano alcune delle contraddizioni più profonde che si possono ritrovare nell’attuale società giapponese dove sempre più salaryman non riescono a tornare a casa per giorni per i ritmi lavorativi serrati, dove i giovani scelgono non riescono a vivere l’affettività scegliendo l’isolamento e in alcuni casi passando anni senza uscire dalla propria camera (fenomeno degli Hikikomori), dove gli anziani diventano rapidamente la gran parte della popolazione per via del bassissimo tasso di natalità.
Resiste tuttavia un benefico attaccamento contemplativo alla natura che trova delle belle espressione nei festival stagionali e nella celebrazione dell’Hanami (la fioritura dei cilegi) che testimoniano, ancora una volta, la forte componente riflessiva del popolo Giapponese.
In questo contesto, non è difficile comprendere come la produzione artistica proveniente da questo mondo lontano e per certi versi ancora inaccessibile (manga e anime, ma anche film serie e produzioni letterarie) sia attraente perché ci lascia intravedere ciò che si nasconde dietro il velo di mistero che avvolge la terra del Sol Levante. Coltivando questa nostra passione ci lasciamo affascinare da riferimenti a tradizioni che non conosciamo, da un pantheon diverso dal nostro, da echi di una narrazione storica che nulla ha a che fare con quella del nostro territorio: in sintesi ci sembra di avventurarci in territori sconosciuti come dei moderni Marco Polo.
Dopo tutto questo, però, occorre fare i conti con una verità apparentemente incontrovertibile, ovvero la nostra condizione di Gaijin, di stranieri che non appartengono al Giappone. Possiamo studiare, leggere, diventare esperti di questa terra e di questo popolo, ma dietro ogni pagina, ad ogni viaggio ed esperienza troveremo sempre qualcosa di nuovo, potremo suscitare curiosità e interesse, ma probabilmente non perderemo mai la nostra condizione di stranieri. Nulla che abbia a che fare col razzismo, anzi, è forse questa lontananza che sostiene la nostra voglia di afferrare la mutevolezza di un popolo che, come nella citazione di Golden, nel corso della sua storia innumerevoli volte è stato costretto a trovare un nuovo corso, a reinventarsi pur rimanendo saldamente legato alla sua identità.
Infine, per tornare alla natura otaku della nostra rubrica, se voleste acquisire familiarità con alcuni dei nomi di personaggi che hanno fatto la storia del Giappone nel periodo Sengoku vi consiglio la visione delle due stagioni dell’anime “Sengoku Basara”. Un prodotto leggero che narra alcune delle battaglie tra i signori della guerra con uno stile sicuramente poco fedele alla realtà da un punto di vista storico ma che risulta un mix godibile di botte da orbi, aure esplosive, robottoni con trivella, fanservice e alti valori morali in perfetto stile giapponese. Piccolo particolare: uno dei personaggi, “lord Masamune” e i suoi uomini conducono i loro cavalli con dei manubri da motociclisti con annessi finti tubi di scappamento… non serve aggiungere altro!