TRILOGIA SIBERIANA
Nicolai Lilin
Enaudi, 2014, 954 pagine
di Rocco Lombardi
L’ AUTORE
Nicolai Verjbitkii (e non Николай Вержбицкий, ossia, Nikolaj Veržbickij come da Wikipedia) ha scelto il suo pseudonimo in onore della madre Lilia ed è, dunque, noto al grande pubblico come Nicolai Lilin.
L’italianizzazione del nome non è casuale; lo scrittore è infatti, ormai, nostro connazionale a tutti gli effetti, nonostante l’appartenenza russa e la sua origine siberiana trapelino in continuazione nella sua storia, nelle sue opere e nel suo accento fighissimo.
In realtà non è propriamente siberiano perchè è nato a Tighina (Bender) in Moldavia, anche se in realtà non è propriamente moldavo perchè la sua città d’origine è situata sulla riva destra del fiume Dnestr nella Bessarabia, ubicata nei confini moldavi ma controllata dalla non riconosciuta Repubblica della Transnistria, anche se, in realtà, alcuni antropologi hanno contestato la sedicente origine russa/moldava/siberiana/transnistriana/sovietica/umana.
Insomma, un vero casino.
Una cosa è certa: Nicolai non si è annoiato.
Pur volendo dare per buone (personalmente ritengo sia un grande onore essere talmente discusso, a meno di quarantanni, da concentrare studi antropologici sui propri natali) le teorie sulla dubbiosa provenienza siberiana di Lilin, Nicolai è stato tatuatore, criminale, militare, scrittore, conduttore televisivo e sceneggiatore.
Sceneggiatore.
Sì, perchè dal suo primo romanzo “Educazione siberiana” è tratto un film di un regista fessacchiotto (Gabriele Salvatores) interpretato da un attore quasi sconosciuto (John Malkovich).
I ROMANZI
La trilogia inizia con “Educazione siberiana” (2009), vero e proprio inno a una cultura sconosciuta al mondo occidentale, densa di squisiti ossimori come “criminale onesto”, di tradizioni incollate alla personalità dei componenti della comunità di riferimento e di dictat comportamentali che derivano da una lenta e motruosa capacità di adattamento ad una vita crudele.
Il secondo romanzo “Caduta libera” analizza da un punto di vista molto soggettivo la vita di un soldato/cecchino (l’autore) durante le crudeltà della Seconda Guerra Cecena.
E’ talmente ricco di dettagli che sembra di ascoltare il racconto dell’esperienza di un amico, appena ripresosi dal trauma successivo alle brutalità militari.
Tra i diversi aspetti affrontati, colpisce la descrizione delle milizie indipendenti islamiche e dell’analisi dell’inutilità della Jihad. Quando, alcuni anni dopo l’uscita del romanzo (2010), il tema ISIS è diventato uno degli argomenti più diffusi, è stato incredibile pensare a come la questione del califfato fosse un cancro già presente da decenni sul palcoscenico mondiale.
La trilogia si conslude con “Il respiro del buio” (2014), che appare essere una perfetta tesi della dialettica hegheliana, confezionata per ritornare all’ “Educazione siberiana”, dopo essere passati per l’antitetica “Caduta libera”.
Viene raccontata la tragedia personale del trauma post-bellico e il ritorno alla famiglia, alla natura e alla patria con descrizioni mozzafiato sugli scenari naturalistici di caccia.
Il romanzo si conclude con il ritorno alle armi al soldo di un oligarca poco limpido.
CHE COSA CI È PIACIUTO
Non accade spessissimo che un romanzo sia talmente avvicente e originale da rimanere impresso come un tatuaggio nella mente. Lilin ci è riuscito alla perfezione con una trilogia.
Infinitamente appassionante.
CHE COSA NON CI È PIACIUTO
Per quanto le tematiche siano universalmente interessanti, il punto di vista soggettivo e autobiografico dell’autore non è per tutti. Serve sensibilità per capire una tragedia lontana dalla propria realtà.
CITAZIONE
“La fame viene e passa, ma la dignità una volta persa non torna piú.”