Come gli anni 80 ci hanno unito al Giappone
di Gianluigi Giuliani
Intorno agli anni 80 e primi anni 90 in Italia si è verificato un vero e proprio boom sulle reti locali e nazionali di cartoni animati giapponesi, quelli che oggi chiameremmo “anime”.
Quella che poteva sembrare una comoda scelta commerciale delle reti televisive è poi, come spesso accade, divenuta fenomeno sociale di massa.
Mentre i nostri genitori erano a lavoro o impegnati in altre faccende c’era chi si prendeva cura di noi e della nostra formazione in maniera più importante di quanto chiunque si fosse mai potuto immaginare.
Tutta una generazione di bambini è stata più o meno consapevolmente cresciuta dagli anime.
Una sorta di colonizzazione culturale è stata dolcemente determinata attraverso una letteratura per bambini, e spesso non solo per bambini, che da un lato portava con se valori universali in cui evidentemente tutti noi potevamo ritrovarci, ma che dall’altro lato ci avvicinava a modi di pensare e usanze del tutto nipponiche, del tutto differenti da quelle a cui la nostra società occidentale poteva essere abituata.
Non voglio dire che oggi ci ritroviamo una generazione di trentenni “italo-giapponesi” in Italia, per carità, i nostri percorsi mentali e la nostra chiave di interpretazione della realtà rimane strettamente italiana e occidentale ma spesso si percepisce una inconscia familiarità con modi di pensare tipicamente giapponesi e con situazioni aliene alla nostra società.
L’incremento esponenziale del turismo italiano in Giappone è, a mio parere, almeno in parte, anche da imputare a questo legame che unisce quei bambini, ormai trentenni, al paese del sol levante. Ormai non è difficile vedere tantissimi turisti italiani che si muovono con apparente sicurezza in una metropoli come Tokyo, tra rituali shintoisti, cerimonie del thè, e ristoranti tipici di cui ormai conosciamo il menù quasi come fosse la nostra cucina tradizionale.
Questa inaspettata familiarità con il Giappone non toglie però al paese il suo proverbiale mistero che tanto affascina e attira.
E così, l’esperienza del viaggio in Giappone può risultare, per molti di noi, qualcosa di più. Per il nerd significa il “viaggio alla Mecca” che deve compiere almeno una volta nella vita ma anche il trentenne non nerd troverà in Giappone qualcosa di inaspettato.
Un po’ come andare a New York, dove ogni angolo o veduta ci ricorda un film o una serie tv che abbiamo amato, andare in Giappone risveglia sensazioni e sentimenti spesso dimenticati.
Tanti sono stati gli Anime che ci hanno emozionato durante la nostra infanzia. Tra i più celebri “I cavalieri dello zodiaco” il cui doppiaggio italiano, sotto la direzione di Enrico Carabelli e l’adattamento di Stefano Cerioni, offriva dialogo aulici ed elegantissimi ci ha insegnato la nobiltà d’animo; “Holly e Benji” lo spirito di squadra e il rispetto dell’avversario, “Ken il guerriero” a difendere i più deboli e tanti altri “Mazzinga”, “Jeeg robot”, “Starzinger”, “Mila e Shiro”, “Capitan futuro”, “Devil Man”, Dragon ball”, “Conan ragazzo del futuro”, “Babil Junior”, “Sailor Moon”, “Yattaman”, “Sampei”, “Pollon” potrei continuare molto a lungo.
Vorrei, in conclusione, ricordare “L’uomo Tigre”, il cui character designer e direttore dell’animazione, Keiichirō Kimura, è morto pochi giorni fa.
La storia di un uomo che si ribella al sistema di odio e violenza in cui è cresciuto in nome della giustizia e della bontà.
Uno degli anime più violenti che abbia mai visto eppure di una poeticità e delicatezza di sentimenti disarmante.