La fine del pensiero Keynesiano
di Canio Trione
economista, console onorario della Repubblica di Lettonia
La espansiva interpretazione del pensiero keynesiano non poteva non portare al suo superamento e proprio alla fine degli anni ’70 del secolo scorso una signora del partito conservatore si impone alle elezioni politiche britanniche e diviene nel 1979 Primo Ministro della Gran Bretagna. Si tratta di rimettere l’economia sotto controllo e la neo eletta abbraccia senza tentennamenti la nuova teoria monetarista che alcuni anni prima era stata immaginata da un pugno di economisti anglosassoni e segnatamente da M. Friedman. Anche gli Usa di Reagan seguono queste tesi e così gli anni ’80 divengono il periodo di applicazione delle nove teorie. Certo, l’inflazione che si era scatenata nel secondo dopoguerra aveva reso l’economia una specie di corsa all’accaparramento speculativo di ogni genere di beni, dagli immobili alle materie prime, con beneficio di nessuno perché il riacquisto del venduto diveniva molto più oneroso e quindi impossibile.
Si apre una battaglia su tutti i fronti; deregolamentazione, modernizzazione, privatizzazione, ottimizzazione, mondializzazione, divengono parole d’ordine prive di opposizione; ancora oggi. La nuova teoria modificava la ragione stessa dell’esistenza dell’economia: prima di Friedman era considerata una scienza con l’obiettivo della piena occupazione mentre adesso ha come obiettivo la stabilità dei prezzi. Quindi nel primo caso aveva uno scopo sociale nel secondo uno scopo “tecnico” e quindi assolto con lo sviluppo della econometria figlia della matematica e della statistica. L’economia come era stata sempre concepita viene progressivamente dimenticata mentre al suo posto si impone una scienza avulsa dalla realtà concreta che ne prende il posto e il nome. L’uomo esce così dalle preoccupazioni dei decisori e non è più il protagonista della politica per divenire invece l’oggetto delle scelte e lo strumento con il quale ottenere gli obiettivi di stabilità che le oligarchie di tutto il mondo si sono dati.
A ben vedere quelle teorie monetariste erano un po’ semplicistiche. Nascevano per interpretare quanto si vedeva ad occhio nudo e cioè che l’inflazione era una riduzione del valore della moneta dovuta all’ampliamento della sua quantità e alla modestia del suo costo (cioè del tasso di interesse reale che è il tasso nominale meno l’inflazione) che di fatto era negativo; quindi serviva riportare l’intero sistema a funzionare regolarmente retribuendo il capitale con un tasso di interesse reale positivo. Una operazione “impossibile” per la mentalità dell’epoca e per gli interessi coinvolti ma, con il senno di poi, piuttosto semplice sul piano concreto per non dire naif. Era altresì evidente che questa operazione era funzionale allo specifico obiettivo posto dalla necessità di superare la interpretazione espansiva delle teorie keynesiane. In pratica si rispondeva alla domanda: se con le tesi dominanti e vecchie di ormai mezzo secolo i prezzi e l’intera economia era fuori controllo come dobbiamo fare a riportare tutto ad un funzionamento più regolare?
Durante gli anni ’80 nei paesi anglosassoni si è realizzata quella teoria nel concreto delle loro economie: a) risanando le imprese pubbliche inefficienti e vendendole ai privati, b) chiudendo anche interi settori produttivi come le storiche miniere di carbone inglesi con migliaia di nuovi disoccupati, c) si è rivoluzionata la finanza creando i titoli virtuali imponendone la nominatività e dando così un potere immenso alla burocrazia e alla tecnocrazia, d) si è creata la moneta virtuale con l’ambizione di controllare tutto il commercio mondiale, e) si sono abolite le frontiere per unificare i mercati, f) si è introdotta la transazione finanziaria permanente via internet (il famoso big bang), g) si sono create le condizioni ideali per la creazione delle “bolle” finanziarie attraverso una presenza delle Banche Centrali in funzione di calmieratrici dei mercati nei loro momenti di correzione;… una rivoluzione mondiale che ancora viviamo e che è andata ben al di la della contingenza degli anni ’70. Contingenza che è stata molto ben fronteggiata al costo però di creare guasti se possibile di gran lunga maggiori.
In Italia invece è andata in maniera molto diversa: si è mantenuta la situazione (ereditata dal fascismo e mai messa in dubbio) che vedeva una parte significativa dell’economia in proprietà diretta dello stato il quale non aveva alcuna intenzione di mollare questo immenso potere. In questa maniera la proverbiale inefficienza del settore (che in gergo tecnico si chiama “bassa competitività”) detenuta dallo stato si è protratta ancora, appesantendo ulteriormente i conti pubblici e creando parte significativa del debito pubblico che oggi ci rimproverano da tutto il mondo.
Ma in Italia e in Europa si verificava un altro gravissimo fenomeno che è stato il controllo -e quindi il blocco- del libero funzionamento del meccanismo dei cambi con la sottoscrizione dell’Accordo di quello che sarà chiamato “serpente monetario” entrato in funzione nel ‘79. In una situazione in cui la economia italiana non cresceva in competitività, bloccare il libero espletarsi del cambio avrebbe fatto crescere immediatamente il debito (a tutto vantaggio dei nostri partner commerciali e quindi la Germania in testa) e, in seconda battuta ed a seguito di sempre più stentata crescita, far saltare la stessa credibilità del debitore sovrano. Cosa che è puntualmente accaduta e che era certamente prevista e voluta da chi poi ne ha beneficiato.
Quindi gli anni ’80 costituiscono la radice di tutti gli accadimenti economici successivi in Italia ed in ogni parte del mondo e sono altresì la radice della situazione di dittatura della finanza alleata alla politica odierna che ha avuto le sue origini in quelle teorie e in quelle pratiche di governo dell’economia. Lo studio di quelle scelte è l’unica maniera possibile per tornare ad avere una economia reale che funzioni e che produca occupazione e ricchezza.