di Dunia Elfarouk
(Ginger Bouvard)

Contatto Mahmoud in un mezzogiorno caldissimo d’autunno per una chiacchierata divisa in due parti. La prima si svolge di fronte ad un pollo al curry e del tè alla menta e gelsomino. Mi colpisce da subito il garbo sensibile dell’artista, introdotto da un sorriso timido eppure caldo ed accogliente.

Gli occhi e i capelli nerissimi.

La grazia di un principe mediorientale. Per ringraziarmi del tempo che ci concediamo mi porge un libro di poesie ed iniziamo subito a parlare del suo omonimo Darwish, di politiche internazionali, di misticismo sufi e di consapevolezza di sé. Comprendo, senza difficoltà, che la sua ricerca spazia lungo traiettorie spirituali e filosofiche vastissime.

Mahmoud Saleh Mohammadi nasce in una primavera persiana di una quarantina d’anni fa. Avverte sin dalla più giovane età una forte inclinazione verso le arti figurative, la pittura e il teatro. Scopre, altrettanto presto, il suo amore per l’Italia, in particolare per la gioia estetica dell’arte rinascimentale che fiorisce a Firenze. Tutte queste predisposizioni lo condurranno a trasferirsi a Milano e lì a completare i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. E decidere, così, di stabilirvisi in via definitiva, con l’impegno di forte portata simbolica di aprire il suo studio e laboratorio culturale presso il numero 42 di Viale Bligny, quartiere storicamente inserito in un contesto fortemente multietnico. Il nome che sceglie per il suo atelier è Spazio Nour che, nella lingua d’origine dell’artista significa, per l’appunto, Luce.

Mohammadi, invero, esprime, attraverso la sua arte, una sensibilità filosofica e una ricerca mistica dai significati esistenziali universali. Si prenda, ad esempio, l’iconico tappeto persiano, emblema delle radici dell’autore, rivisitato attraverso l’applicazione di lamine d’oro, secondo l’antica tecnica orientale del kintsugi. Esso si presenta come sintesi eclettica di un pensiero trasversale a tutte le ispirazioni culturali e comun denominatore del sentire umano.

Poichè, come ritiene l’autore stesso, le ferite dell’anima, che ci rendono un variegato caledoscopio del Vero, non devono essere velate bensì meritano di essere riconosciute e celebrate.

Con il più prezioso dei materiali, in quanto manifestazione più autentica del nostro vivere empaticamente il Mondo e l’Altro. La seconda parte del nostro flusso di coscienza condiviso ha luogo la mattina successiva presso lo Spazio da lui fondato e in cui sono ospitate, altresì, le voci artistiche di creativi che con lui collaborano: l’inconfondibile arte di Mahmoud si integra con oggetti di fashion design, arte figurativa orientale, installazioni dei più vari generi.
Riprendiamo, dunque, la nostra chiacchierata da dove l’abbiamo sospesa. Approfondendo i temi cari all’artista, la poesia, il sufismo, l’empatia, i diritti umani, l’immigrazione, la poesia, l’uguaglianza, mi rendo conto che il trait d’union della sua dialettica e la radice di ogni ispirazione da cui ha origine risiedono in un fortissimo senso di umanità.

E credo che solo a partire da una simile consapevolezza possa muoversi qualsiasi fattiva creativa evoluzione
del comune sentire. Attraverso l’ampia area di esperienze vitali e culturali di cui Mohammadi è creatore e forza
catalizzatrice si profila una consapevolezza metalinguistica capace di superare le (in)differenze per sintetizzarle e farne un’unica alchimia di voci.

In fondo, la storia altro non è che la trasformazione della Natura e il suo avanzamento attraverso la voce dell’Uomo.

E, pertanto, a partire dall’Uomo stesso.

Da qui, la necessità di comprendere Tutte le voci dell’Umano sentire. Farne un’Unica corale espressione.

Grazie Mahmoud.

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