La riforma UE sul copyright non piace all’Europa
Prima di approfondire cosa è previsto nella discussa riforma varata dal Parlamento Europeo in materia di copyright, dove l’Italia, Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda e Lussemburgo hanno vontato contro, e la Germania ha fatto mettere a verbale l’invito alla Commissione a evitare filtri e censure, facciamo un breve passo indietro per ripercorrere le più importanti teppe storiche che hanno portato alla nascita del copyright.
La nascita del copyright
Il copyright (traduzione letterale: diritti di copia) viene utilizzato per identificare il diritto d’autore, spesso viene indicato utilizzando la ©. Le origini del copyright risalgono al XVI secolo, in Inghilterra la monarchia emanò una serie di norme finalizzate al controllo delle opere pubblicate sul proprio territorio. Con l’avvento delle prime macchine automatiche per la stampa, la libera circolazione di manufatti iniziò a crescere sempre più, quindi il governo inglese che aveva il potere di censurare manufatti contrari al pensiero del governo, avvertì l’impellente esigenza di controllare la circolazione degli scritti “liberi”, fondano la c.d. London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra). Ogni nuova opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della corporazione il quale ne acquisiva il “copyright”, ovvero il diritto esclusivo sugli altri editori di pubblicarla.
Nel 1710 sempre in Inghilterra fu emanata una vera e propria legge composta da 11 articoli sotto il nome di Statute of Anna (An Act for the Encouragement of Learning, by vesting the Copies of Printed Books in the Authors or purchasers of such Copies, during the Times therein mentioned).
Nel corso dei secoli anche la Francia, il Regno d’Italia, il Regno delle Due Sicilie e il resto d’Europa emanarono legislazioni per l’istituzione del copyright (o del diritto d’autore). In particolare ricordiamo: a) nel 1836, il codice civile albertino per la Sardegna; b) nel 1840, il 22 dicembre, il decreto di Maria Luigia, per il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla; c) nel 1865, il 25 giugno, nel Regno d’Italia, con legge 2337.
Nel XX secolo il diffondersi delle c.d. memorie di massa (videocassette) e delle macchine in grado di riprodurre copie delle videocassette, l’avvento del file sharing, ha messo in crisi la tutela del copyright, rendendosi necessaria una riforma che tuteli l’autore non più a livello nazionale ma a livello Europeo.
La nascita della Direttiva Europea 2016/0280.
La Riforma ha l’obiettivo di tutelare le pubblicazioni a mezzo stampa, ridurre il divario tra i profitti realizzati dalle piattaforme Internet e quelle dei creatori dei contenuti, e soprattutto, promuovere la collaborazione tra queste due categorie.
La Direttiva Europea fonda le proprie basi giuridiche nell’art. 114 del TFUE (Trattamento sul Funzionamento dell’Unione Europea) che conferisce all’UE il potere di adottare misure aventi per oggetto l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno.
Le disposizioni contenute della Direttiva prevedono che gli editori possono limitare la diffusione di elaborati (testi, manoscritti, ecc…) sui siti di soggetti terzi, imponendo ai gestori dei siti stessi di analizzare in via preventiva se i contributi rilasciati dai propri utenti violino il copyright, predisponendo un meccanismo di blocco automatico.
A chi si applica la Direttiva?
Nel testo approvato dal Parlamento si legge che le disposizioni della Direttiva non si applicano ai contenuti utilizzati per l’insegnamento e la ricerca. Inoltre la tutela prevista dalla Direttiva non si applica ai contenuti caricati sulle enciclopedie online (es Wikipedia).
La riforma dunque troverà applicazione nei confronti dei gestori di piattaforme online con scopi di lucro, basti pensare a Google o a Facebook, da oggi sarà necessario munirsi delle licenze rilasciate dall’autore previo pagamento del compenso richiesto dall’autore per poter divulgare l’opera, oltre ad adottare misure idonee a prevenire la pubblicazione non autorizzata di contenuti protetti da copyright.
Le criticità
Le criticità si registrano negli articoli 15 ex art. 11 titolato (Protection of press publications concerning digital uses – protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale) e 17 ex art. 13 (Use of protected content by information society service providers storing and giving access to large amounts of works and other subject-matter uploaded by their users – Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti).
L’art. 15 ispirato alla link tax spagnola, obbliga tutti coloro che utilizzano le anteprime degli articoli giornalistici (i c.d. snippet) ad avere una licenza speciale che può essere concessa solo dagli editori, distruggendo così il modello di business degli aggregatori di notizie.
Secondo i fautori della riforma invece mira a bilanciare il rapporto tra le piattaforme online (come Google e Facebook e molti altri) e gli editori, per fermare lo sfruttamento dei contenuti editoriali. Un rapporto difficile da bilanciare visti gli interessi contrapposti. Da un lato i gruppi editoriali che rivendicano la giusta remunerazione (nella Direttiva si parla di equo compenso), dall’altro i colossi delle piattaforme online che non sono disposti a pagare quanto richiesto dai gruppi editoriali.
Tutto ciò potrà avere pesanti ripercussioni sia per i piccoli gruppi editoriali che per le piccole piattaforme online. In termini informatici si avranno effetti negativi sia in termini di traffico che in termini divisibilità online.
L’art. 17 introduce un nuovo profilo di responsabilità che incombe sulle grandi piattaforme di condivisione, prevedendo allo stesso tempo la disapplicazione dell’art. 14 della direttiva 2000/31/CE che, esonera da responsabilità, coloro che si occupano di vigilare per conto delle società di informazioni, il caricamento e la pubblicazioni di materiale protetto effettuato dagli utenti.
E’ doveroso precisare che la norma non prevede – come era invece nella sua formulazione originale – un obbligo di controllo preventivo (c.d. upload filter) ma solo un obbligo di carattere generale di ottenere una licenza dall’avente diritto, che potrebbe anche non essere il titolare di quel diritto.
I “vigilantes” dunque potranno condividere gli enormi profitti che i giganti del web fanno anche grazie agli utenti che caricano contenuti in spregio al diritto d’autore altrui.
Conclusioni
Il diritto sancito dalla Direttiva, nonostante il voto contrario dell’Italia, sarà probabilmente inserito nell’ordinamento italiano, nel Titolo II della legge 694/1941 (diritto d’autore) e nel D. Lgs. 70/2003 (Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno).
L’applicazione dell’articolo 15 sarà possibile declinando il significato di pubblicazioni di carattere giornalistico, definendo tali pubblicazioni come un mix di contenuti di testo, audio, immagini e video presenti in quotidiani o riviste periodiche, escludendo le pubblicazioni di tipo scientifico o accademico.
L’applicazione dell’art. 17 richiederà invece l’introduzione di un nuovo articolo (16bis ndr) nel D. Lgs. 70/2003.
Poiché la Direttiva dovrà essere applicata entro 2 anni dalla sua pubblicazione, ci sarà tempo per riflettere meglio sugli effetti e sulla portata degli articoli 15 e 17.
Auspichiamo che la Commissione Europea promuovi dialoghi tra i prestatori di servizi online e i titolari dei diritti d’autore e connessi per definire gli ambiti le modalità applicative delle nuove disposizioni.