L’altare di Lucera mensa di Federico II
di Mariagrazia Russo, Alexandra Danila
immagini a cura di Elisa Tantaro, Giulia Dragonetti
(studenti P.O.N. Torremaggiore FG, coordinati dalle prof.sse Samanta Macchiarola e Carmen Tusino)
Parla l’altare del duomo di Lucera che fu la mensa dell’imperatore Federico II nella domus di Castel Fiorentino (Fg):
“Candele, statue, affreschi, tappeti, banchi, colonne e un coro ligneo fanno parte della mia quotidianità, fanno da contorno alla mia vita, da quando sono stato portato via da quella che pensavo sarebbe stata per sempre la mia dimora: la domus fiorentina.
Attorno a me adesso regna il silenzio accompagnato dai classici, a volte monotoni, canti gregoriani che si ripetono giorno dopo giorno. Eppure mi ritrovo attorniato da molta gente, con lo sguardo rivolto verso la mia direzione, che mi fissa in silenzio in ginocchio o con le mani rivolte al cielo.
Il rintocco mattutino delle campane segna l’inizio della mia giornata, la quale avrebbe dovuto essere allegra, gioiosa, piena di profumi caserecci che sicuramente il Puer Apuliae avrebbe apprezzato, lui grande intenditore in ambito culinario, tanto che scrisse il Liber De Coquina, arricchito con versi, poesie, liriche e sonetti.
Secondo la tradizione, spetta a lui il merito di aver inventato un piatto tipico, molto apprezzato anche da chi non è del posto: da una pietanza da lui amata, le “foglie mischiate”, deriva il “pancotto”, ricetta oggi molto famosa e diffusa in Capitanata, preparata con verdure miste selvatiche e con il pane raffermo bollito nell’acqua e infine servito con l’aggiunta di un filo d’olio locale.
Oggi tra queste mura vivo di rimpianti, provo ad accontentarmi della mia routine religiosa, come faccio ormai dal XIV sec.
Eppure il mio destino era ben altro: avrei potuto omaggiare il mio signore, il grande imperatore Federico II, seduto con i suoi commensali di fiducia, mentre prelibate bevande e cibi sopraffini, sempre accompagnati dai lieti e dolci versi di poeti e giullari, venivano serviti su di me.
Sarei dovuto restare nella domus di Fiorentino, amena località adagiata su un vasto colle, che a lungo mi ha ospitato.
Il mio sovrano era amante di piatti raffinati, come il biancomangiare di pollo, era goloso di scapece, ma quella Gallipolina, prediligeva, come dicevo, le “foglie mischiate”, una prelibatezza di cotenna e verdure miste, e le profumate frittelle imperiali con formaggio di mucca, chiara d’uovo, farina di pinoli ed uva passa. I suoi banchetti avrebbero attratto re e principi d’Europa: li avrei stupiti tutti con la mia magnificenza…
Magari avessi potuto partecipare a tutto questo! Una duplice ragione me lo ha impedito…
Federico II giunse nella mia domus colpito da un malore che lo condusse alla morte e non gli permise più di banchettare con la sua corte itinerante. Più tardi io, disdegnata come mensa, fui trasportata, mio malgrado, qui, nel Duomo di Lucera.
A pensarci su mi vien da ridere, poiché oggi, io, nata per usi profani, mi ritrovo a svolgere funzioni religiose e di culto, consolandomi tra i ricordi per rendere più sopportabile la mia nuova condizione.”