Il giallo dei marmi di Ascoli Satriano a Malibù
di Samanta Leila Macchiarola
Era il 2002 quando Savino Berardi, tombarolo della zona di Ascoli Satriano, gravemente ammalato, decide, poco prima di morire, di svelare ai marescialli dei Carabinieri Salvatore Morando e Roberto Lai, un segreto che, se fosse rimasto tale, non mi consentirebbe di raccontarvi questa incredibile e affascinante storia.
L’infaticabile tombarolo aveva nel corso degli anni ‘70 effettuato una serie di scavi clandestini nella zona dell’antica Daunia, più nota oggi con il nome di Capitanata, ovvero nella parte settentrionale del territorio iapigio ( la Puglia attuale) che si estendeva nella fertile valle del torrente Carapelle.
Si tratta di luoghi estremamente “generosi” a ragione di quel lontano passato che, tra il IX-VIII e il III-II sec. a. C., li ha visti sede della ricca ed aristocratica civiltà dei Dauni, popolazione italica non priva di contatti con gruppi vicini sia indigeni che greci.
Ebbene, proprio qui, probabilmente appartenuto ad un ricco e colto principe della Daunia, Berardi ritrovò, praticamente intatta, una camera funeraria che presentava una base da mensa raffigurante due grifi, animali con il corpo di leone alato e la testa di drago, nell’atto di azzannare una cerva, un bacino rituale, una coppia di mensole e otto contenitori di marmo pregiato. Lascio immaginare lo stupore e l’emozione di quest’uomo quando comprese, a tale vista , di trovarsi di fronte alla scoperta più grande e preziosa della sua vita.
Tutto era incredibilmente intatto…ma come trasportare una refurtiva dal valore così inestimabile sfuggendo ai controlli?
Ben pensò il nostro Savino di smembrare i marmi per un più agile trasporto, avendo già bene in mente come destinarli al traffico internazionale di arte antica. Durante il trasporto alcuni pezzi furono sequestrati, mentre quelli più pregiati, ovvero i grifi che sostenevano la mensa (trapezophoros) e il bacino rituale (podanipter), tra il 1976 e il 1977, furono venduti, insieme ad una statua di Apollo del II sec. d.C. al famoso mercante d’arte Giacomo Medici , e, attraverso l’intermediazione del traffico internazionale di arte antica, sbarcarono oltreoceano, in California, esposti al J. Paul Getty Museum di Malibù.
Pagati rispettivamente 5,5, 2,2 e 2,5 milioni di dollari deliziarono la vista di stupiti e ignari visitatori finchè, nel 1985, Arthur Houghton, curatore della sezione di arte antica del museo, venne a conoscenza della provenienza illegale degli oggetti. Houghton venne anche a sapere che la cittadina pugliese di Orta Nova in provincia di Foggia era il luogo di provenienza di quei reperti stupendi, di cui, ormai, nessuno avrebbe più rivendicato il possesso.
Non aveva, evidentemente, messo in conto, il senso di colpa, gli scrupoli e, forse, il desiderio di morire in pace con la propria coscienza del Berardi che, sette anni dopo, nel 2002, non solo chiese ai Carabinieri di riportare i grifi in Italia, ma riferì anche del sequestro da lui subito, in quelle lontane circostanze, dalla guardia di Finanza. Dove erano finiti gli altri pezzi di quel fortunato ritrovamento?
Una complessa indagine , negli archivi della ex Pretura di Orta Nova, portò alla luce tra i faldoni destinati al macero, alcuni documenti risalenti al 1978, che, attraverso uno “scavo” nei magazzini della Soprintendenza di Foggia, consentirono il ritrovamento di una cassa di materiali sequestrati, a nome del “pentito” tombarolo, con 19 pezzi di marmi…
Fu nell’ambito di un processo per commercio illegale di reperti archeologici che, grazie al Maresciallo Roberto Lai e al Soprintendente Archeologo di Roma, Angelo Bottini, fu possibile stabilire un collegamento tra i reperti ritrovati dai Carabinieri e gli oggetti acquistati dal Getty Museum che, nell’agosto del 2007, li restituì finalmente all’Italia.
Esposti nel Museo Civico diocesano di Ascoli Satriano dal 2010, portati nel 2015 all’Expo ed esposti al Palazzo del Quirinale dal 3 maggio al 14 luglio 2019, sorprendono per la loro eleganza e raffinatezza, accogliendo il visitatore in un ambiente particolarmente suggestivo che intende riprodurre la ricca tomba a camera a cui erano stati destinati. L’impatto è assolutamente affascinante: la vista è catturata dai due grifi nell’atto di azzannare una cerva, ormai preda senza scampo; né all’occhio attento sfuggono quelle che sono state definite le “Policromie del sublime”, sfumature di giallo , verde, rosa, azzurro e rosso porpora; altrettanto può dirsi dei vasi esposti, in marmo di Paros, i cui nomi rimandano alle rispettive funzioni; per concludere, ammirandone la trasparenza, il raffinatissimo podanipter, bacino rituale raffigurante il trasporto delle armi forgiate da Efesto per Achille su richiesta della madre Teti.
Ebbene, questo e tanto altro vi attende ad Ascoli Satriano…
Se, allora, vi abbiamo incuriosito, se amate le Spy stories, i musei alla “ricerca dell’arte perduta”, non esitate a inserire nei vostri percorsi estivi, in attesa del loro rientro da Roma, i grifi alati, a sostare in questo piccolo borgo che tra le sue mura conserva un tesoro di inestimabile valore e , il mio suggerimento per i più fantasiosi, ad immaginare l’incantevole bacino rituale colmo d’acqua mentre dalle sue trasparenti increspature, a cavallo di anguiformi mostri marini, affiora leggera, come dalle onde, Teti in corteo con le Nereidi…