Verità è arte, arte è verità

di Massimiliano Porro
critico d’arte
“Cosa credete che sia un artista! Un imbecille che ha solo occhi se è pittore, solo orecchie se è musicista e se poeta una lira a tutti i piani del suo cuore? Al contrario, egli è nello stesso tempo un essere politico, costantemente vigile davanti ai laceranti, ardenti o dolci accadimenti del mondo, modellandosi completamente alla loro immagine. Come sarebbe possibile disinteressarsi degli altri uomini? E in virtù di quale eburnea indifferenza ci si distaccherebbe da una vita che gli stessi uomini donano così generosamente? No, la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti, è uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico”.
Così Pablo Picasso dichiarava il valore di essere artista quasi ottant’anni fa, nel corso del secondo conflitto mondiale. E in questa affermazione la dignità dell’arte assurge ad espressione di verità. Verità è arte, arte è verità, verità e arte: connubio, simbiosi, congiunzione, cambi d’accento. Quanti sono i modi di raccontare un evento, quanti i modi per rappresentare in forma visiva, astratta o iconicamente riconoscibile, un “qualcosa” che ha lasciato una traccia ineludibile nell’animo.
Arte e storia s’incrociano, s’abbracciano, s’incontrano, si scontrano. Lo hanno sempre fatto e ciò che è più intimo non può che essere anche vero. L’originalità della produzione artistica sta nell’essere sincera. È straordinario osservare come nel lungo cammino della storia dell’arte questi due elementi si siano spesso trovati uno di fronte all’altro parlando il medesimo linguaggio. Arte è verità e onestà intellettuale. Lo sapevano gli antichi, lo sapevano nel medioevo e nei secoli successivi, lo sapevano gli artisti che perseguivano un’unica finalità: parlare il linguaggio dell’anima per avvicinarsi al cuore di ciascuno. La verità è il respiro della vita per la società degli uomini. È il cibo dello spirito immortale. Eppure, a volte, preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi. In queste parole di Massimo Gramellini è contenuta un’ulteriore sentenza che ci riallaccia al mondo dell’arte. Soprattutto nella contemporaneità pervasa da fake news di ogni genere, ciò che la cultura insegna non va dimenticato ma ribadito e meditato. Fa tremare il pensiero di quanto sia reale e attuale, l’opera di Sandro Botticelli intitolata La calunnia, databile all’ultimo decennio del Quattrocento.
Il quadro presenta da destra verso sinistra: re Mida (riconoscibile dalle orecchie d’asino) nelle vesti del cattivo giudice, seduto sul trono e consigliato da Ignoranza e Sospetto. Davanti a lui sta il Livore, l’uomo con il cappuccio nero e coperto di stracci che tiene per il braccio la Calunnia, donna molto bella che si fa acconciare i capelli da Insidia e Frode, mentre trascina a terra il Calunniato impotente e con l’altra mano impugna una fiaccola che non fa luce, simbolo della falsa conoscenza. La vecchia sulla sinistra rappresenta il Rimorso e l’ultima figura di donna, sempre a sinistra, è la Nuda Veritas con lo sguardo rivolto al cielo, come a indicare l’unica vera fonte di giustizia. Specchio dei contrasti politici e sociali di quel tempo e dei nostri giorni! Una Nuda Veritas che ritornerà a fine Ottocento, al tempo della Secessione Viennese quando Gustav Klimt elaborò due versioni di questo soggetto.
Nella prima, qui riportata e pubblicata sulla rivista Ver Sacrum, il pittore decise di riportare una citazione dallo scrittore tedesco Schefer: «La verità è fuoco e parlare di verità significa illuminare e bruciare». La donna, rivolgendo lo specchio verso di noi, ci sta esortando a fuggire dalla menzogna rappresentata appunto dalla serpe. In questa sollecitazione si legge una dichiarazione d’intenti dell’artista: la totale libertà dell’arte che deve dire la verità in quanto espressione della propria epoca. Un’ideale che Picasso, simbolo di genio e sregolatezza del XX secolo, sbatterà in faccia all’ufficiale nazista che chiedeva lumi su Guernica (domandando “è lei che ha fatto quest’opera?”) una tale risposta: “no, l’avete fatta voi!”.
Forme e parole, dunque, trasformate in sensazioni, emozioni laceranti come coltelli nella carne di sopravvissuti e testimoni della tragedia. Questa è arte. Questa è verità. Senza scordare quanto risuoni profetico l’aforisma di Andy Warhol che negli anni Sessanta seppe percepire ciò che il mondo sarebbe diventato: “In the future everyone will be world-famous for 15 minutes” – “In futuro ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità”.
Selfie e social network docent… L’autenticità della produzione artistica oggi naviga invece nel mare del dubbio mentre all’orizzonte La zattera della Medusa di Géricault, che tanto fece scalpore, suona campane a martello da cui non ci si può né ci si deve sottrarre.
Immagini:
Pablo Picasso, Guernica, 1937, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid
https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_Nacional_Centro_de_Arte_Reina_Sof%C3%ADa
Sandro Botticelli, La calunnia, 1491 – 1495, Galleria degli Uffizi, Firenze
Gustav Klimt, Nuda veritas, 1898, Osterreichische TheaterMuseum, Vienna.
Andy Wharol, Autoritratto.
Théodore Géricault, La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse), 1818-19, Museo del Louvre, Parigi.