Mangiare ecosostenibile
di Samanta Leila Macchiarola
Come capita un po’ a tutti, mentre preparo il pranzo o la cena mi impegno ad utilizzare ingredienti semplici, genuini e prodotti di qualità. Come tanti, faccio attenzione a questi dettagli e, come consumatrice finale, spero e, forse talvolta mi illudo, che così mangeremo un po’ meglio, evitando i cosiddetti “cibi spazzatura”. In alcune regioni e zone d’Italia, non è poi così difficile avere sulle proprie tavole olio buono, vino biologico e una serie di prodotti che da noi, in Puglia, ancora si preparano in casa: dal dolce della domenica ai sott’olii, alla pasta.
Si assiste ad un ritorno al “ fatto in casa” nonostante, anche al sud, le gastronomie imperversino, facendo leva sui tempi, sempre più ristretti, a nostra disposizione.
Tuttavia, siamo sempre più alla ricerca di cibi sani, salutari , biologici, ecologici e naturali anche perché, così facendo, pensiamo di contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e alla salvezza del nostro pianeta.
Un numero sempre maggiore di persone sperimenta la cucina vegetariana, vegana, kosher nella convinzione che tali scelte siano eco-sostenibili e che, grazie ad uno stile di vita rispettoso dell’ambiente, preserverà, nel senso etimologico del termine, non solo la propria salute ma anche quella della terra.
L’abbandono della dieta onnivora, tipica dei paesi avanzati, è diventato uno slogan delle nostre società opulente. Ricerche e studi approfonditi affrontano il problema e svelano contraddizioni inaspettate: se, infatti, è vero che un regime alimentare con largo consumo di carne comporta più elevate emissioni di carbonio e maggiore spreco di acqua per produrre gli alimenti, a parità di calorie, rispetto a quello vegano e vegetariano, è pur vero che la dieta vegana non è meno inquinante di quella vegetariana che comporta il consumo anche di derivati animali.
Coniughiamo ambientalismo e narcisismo. I ristoranti slow-food sono di tendenza: perché mangiare non è più legato alla soddisfazione di un bisogno, essenzialmente pratico, come è stato per migliaia di anni per i nostri antenati, ma è un modo per definirci. Facciamo la spesa ponendo sempre più attenzione al nostro benessere: percorriamo i corridoi dei supermercati alla ricerca dell’angolo bio, dei prodotti italiani, freschi e di stagione. Sono questi, del resto, i messaggi più o meno subliminali delle grandi catene di distribuzione che ci invitano a riscoprire il piacere di vivere in forma con se stessi, con l’ambiente e con gli altri, a mangiare in modo sano ma gustoso, a vivere in modo responsabile e sostenibile. Perché mangiare un po’ meglio non fa male a nessuno, tutt’altro.
I piani, insomma, si sovrappongono: l’io e il mondo diventano un “EGOMONDO”…
Non reclamiamo più il pane, nel senso letterale del termine, come le popolane parigine che il 5 ottobre del 1789 marciarono, armate e risolute, su Versailles chiedendone la distribuzione gratuita. Anche il pane oggi non è più quello di una volta: da sinonimo di sussistenza e di nutrimento si è trasformato in un piccolo lusso in cui indulgere. Viviamo quella che è stata definita una nuova era del pane: oggi ne mangiamo di meno e possiamo permettercelo (nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, il consumo pro capite era di più di un kg, attualmente si parla di 85 gr. a testa).
Una vera e propria inversione di rotta. Si temono carboidrati e glutine, si è persa l’abitudine di comprarlo giornalmente, ci vengono proposti prodotti industriali, sostitutivi e surgelati. Ecco allora spuntare un nuovo mercato, di nicchia, per salutisti , intenditori e gourmet: panetterie di nuova generazione ci propongono pane fatto con lievito madre, farine di qualità e alternative, lunghe lavorazioni ad un prezzo che non è certo quello del “ pane comune” e che sottintende una qualità del prodotto sempre più rispondente ai palati esigenti dei consumatori. Fatto sta che anche il pane è diventato un affare, un lusso per alcuni: quello che mangiamo rappresenta, a tutti gli effetti, uno status simbol. Siamo quello che mangiamo: è interessante pensare, in questo senso, come gli obesi siano i malnutriti dei paesi ricchi tanto quanto lo sono gli affamati dei paesi poveri.
Mai come oggi il cibo ha avuto tanta importanza nella nostra vita e tante valenze…
Siamo esigenti e sofisticati, appassionati di cucina e dei programmi televisivi che la spettacolarizzano tra competizione, esibizione e trasgressione. La gastronomia è diventata un simbolo ed il cibo qualcosa che si immagina, si guarda, si legge, di cui si conversa, oggetto di desiderio e di itinerari gastronomici. Lo prepariamo, lo fotografiamo, lo postiamo…
Molte volte, invece, lo sprechiamo o lo buttiamo e se non siamo noi a farlo, memori dei sacrifici dei nostri nonni e degli insegnamenti dei nostri genitori, ne siamo spettatori non sempre capaci e pronti a denunciare comportamenti tanto diffusi tra i giovani e, purtroppo, anche tra i meno giovani.
Si crea così un profondo gap tra quella ricerca di benessere personale e ambientale da cui sono partita e le conseguenze dei comportamenti legati ad uno spreco che il mondo non può più sopportare. E, soprattutto, ci sfugge quanto la ricerca dei prodotti migliori, non adulterati e quant’altro, insomma, quanto il mangiare bene sia, soprattutto, alla portata dei più ricchi che possono permettersi di pagare il doppio, se non il triplo e il quadruplo cibi sempre più selezionati, sani e controllati.
Salutare è sinonimo di “costoso”.
Nelle società avanzate, benessere e ricchezza sembrano, dunque, coincidere.
A meno che, senza perdere di vista la qualità di ciò che mangiamo, ma senza farne un’ossessione, ci lasciamo guidare da piccoli suggerimenti, sicuramente alla portata di tutti.
Scegliamo, dove possibile, l’acqua del rubinetto; evitiamo gli sprechi ai fornelli; non esageriamo con la carne ; mangiamo più frutta e verdura; evitiamo i piatti pronti e gli snack calorici; prediligiamo l’olio extravergine di oliva e, soprattutto, cerchiamo di riutilizzare tutto quello che abbiamo a disposizione, senza sprechi, educando chi ci sta vicino a farlo…
Pochi principi, ma per tutti… un invito a mangiare un po’ di meno e meglio, senza contare che, la riduzione e l’eliminazione degli sprechi, è anche prevenzione dei rifiuti e cura dell’ambiente.
Almeno così si spera!
E se il cibo, nel suo aspetto più edonistico e tentatore, ci troverà disarmati, pazienza …
PH credit: Tatiana Shkondina, Food photography
Il valore e la bellezza del “fatto in casa” è un bene da riscoprire perché gratifica il corpo e lo spirito….
Ne abbiamo veramente bisogno. Grazie per questi utili spunti di riflessione