Capolav-Oro
di Massimiliano Porro
Storico dell’arte
Storie che si intrecciano e che corrono sul filo dell’espressione umana e del profitto. Materia plasmata, pigmento gettato che si fa carne e sangue sulla tela, oggetti iconici che hanno superato il confine della tradizione trasgredendo in modo irriverente le regole dell’arte. Siamo circondati da esempi, vicini e lontani nel tempo, di opere che hanno assunto un valore economico enorme accantonando, in qualche caso, la qualità artistica estetica ed estatica.
Vincent Van Gogh, Jean-Michel Basquiat, Damien Hirst, Maurizio Cattelan… Sono solo alcuni esempi di come il mercato dell’arte possa assumere le sembianze, allo stesso tempo, di deus ex machina creatore del mito e di Saturno famelico divoratore dei propri figli.
Girasoli, Iris, ritratti, quadri alla maniera della Street Art, squali bianchi nella formaldeide e banane scocciate al muro: una varietà di soggetti polivalenti che hanno attraversato il secolo breve da poco concluso e stanno attraversando il XXl corrente.
Van Gogh oggi è nome tra i più amati, dal valore immenso. Il pittore olandese è stato vittime di sé stesso, dell’accademismo retrogrado di un mercato incapace ad aprirsi alle novità; nemmeno il fratello Theo, commerciante d’arte, poté far qualcosa se non incassare mesto i rifiuti alla proposta delle opere turbinose dell’amato Vincent. Ma ecco che accadde il miracolo. In questo caso alla malasorte, al colpo di pistola, alla tragica follia e morte seguirono una serie di eventi che ne portarono finalmente alla luce l’espressionismo emotivo e sociale. L’abnegazione della cognata Johanna Bonger nel tramandare opere e il fraterno epistolario tra il marito e Vincent, l’impegno poi dei suoi discendenti, quello di Helene Kröller-Müller che arrivò a essere una sua avida collezionista (a tal punto che una rilevante parte delle opere del pittore oggi è esposta nel museo da lei fondato, il Kröller-Müller Museum), seguiti dai musei e gallerie di tutto il mondo che parevano all’improvviso essersi accorti del genio incompreso… Fu come scoprire il vaso di Pandora. Amore familiare e pathos emozionale di pennellate materiche e colori portarono le opere dell’artista olandese a raggiungere quotazioni spaventose come il Ritratto del dottor Gachet, venduto nel 1990 ad un costo attualizzato di 146,5 milioni di dollari. E pensare che in vita aveva venduto un solo quadro alla sorella di un caro amico.
Con un salto spazio-temporale di qualche decennio atterriamo negli Stati Uniti a fine anni Settanta. La fiamma del genio sta covando nell’animo di un giovane ragazzo di colore: Jean-Michel Basquiat.
«Una notte stavamo fumando erba ed io dissi qualcosa sul fatto che fosse sempre la stessa merda, The Same Old Shit. SAMO, giusto? Immaginatevi: vendere pacchi di SAMO! È così che iniziò, come uno scherzo tra amici, e poi crebbe». (Jean-Michel Basquiat, intervista al Village Voice)
Proprio lui, l’autore dell’acronimo Samo citato poco sopra. Un artista di strada che vive la strada in tutto e per tutto. La Grande Mela accende intuizioni e offre opportunità di incontri sconvolgenti: la cantante Madonna, Keith Haring, i locali alla moda come il Club 57 e il Mudd Club. Piano piano l’interesse aumenta così come la quotazione delle sue opere: l’incontro con galleristi italiani come Emilio Mazzoli e Annina Nosei, l’ingresso nella Factory di Andy Warhol, le mostre personali che aumentano in modo esponenziale dalla zurighese Galerie Bischofberger fino a Tokyo. La sua produzione diventa forsennata, continua, stravolgente e stordente con la necessità di stare al passo con la richiesta di committenti sempre più numerosi. La fiamma del daimon interiore che brucia, il peso di essere il primo artista di colore ad ottenere un successo così clamoroso (opere pagate decine di milioni di dollari), i rotoli di dollari in tasca che non cambiano però il colore della sua pelle… Rimane sempre un’etichetta di pregiudizio razziale che non si può cancellare. E poi la caduta degli dei… Muore Andy Warhol, amico, maestro, nemesi. E infine muore lui, stordito e distrutto dall’abuso di stupefacenti. L’arte, i suoi meccanismo terribili di denaro e critica non lo hanno risparmiato.
E questo viaggio ci porta poi Oltremanica, nella Gran Bretagna non ancora ingabbiata dalla questione Brexit, incontrando l’uomo che ha cambiato il concetto dello stesso termine arte: Damien Hirst e il caso dello squalo da dodici milioni di dollari . Manifesto della sua poetica è The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living (L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente, opera di copertina di questo articolo), consistente in uno squalo tigre di oltre 4 metri posto in formaldeide dentro una vetrina. Quell’opera divenne il simbolo dell’arte britannica degli anni novanta. Il titolo che sovverte i canoni tradizionali della riconoscibilità, la manipolazione effettuata a livello d’intervento non più solo dell’artista stesso ma che necessita un aiuto esterno, e il personaggio che porta il nome di Steve Cohen, esempio del compratore proveniente dal mondo della finanza capace di determinare il mercato dell’arte contemporanea di fascia alta. È proprietario della SAS Capital Advisors, capace di gestire capitali da 11 miliardi di dollari con guadagni da oltre 500 milioni di dollari all’anno ed espone i suoi trofei artistici in una dimora da oltre tremila metri quadri a Greenwich, in un pied-à-terre a Manhattan e in un bungalow di millesettecento metri quadri in Florida:
«Nell’arte contemporanea i soldi complicano e influenzano tutto e tutti».
È quanto ha affermato l’economista britannico Don Thompson, autore di un saggio in cui ha indagato i meccanismi che consentono a talune opere d’arte contemporanea di raggiungere quotazioni da capogiro. Capacità di essere imprenditore, modalità di creare un brand, case d’aste che si fanno tramite di una vertiginosa salita delle quotazioni. Insomma… La canonizzazione di un concetto di arte in cui maggiore è il prezzo maggiore è lo status sociale assunto dall’acquirente. Un gioco sottile e quantomeno pericoloso.
In questa pur breve lista non può mancare un prodotto di casa nostra. Uomo e artista, imprenditore, scandaloso, sovvertitore: è lui, Maurizio Cattelan già assurto agli onori della cronaca per i pupazzi di bimbi impiccati in un parco a Milano, per il dito medio di fronte alla Borsa meneghina e, da ultimo, per la banana scocciata da 120.000 euro. Novello Duchamp? Furbo incantatore? Nello scorso 2019 ha realizzato proprio Comedian, una performance artistica che ruota attorno a una banana appesa al muro con il nastro adesivo. Luogo dell’evento: Art Basel di Miami Beach e la cronologia degli eventi fa ben comprendere quanto le dinamiche economiche e sociali siano una trottola impazzita. Espone dunque nella galleria una banana attaccata ad un muro di cartongesso con del nastro adesivo ad alta resistenza. La banana, comperata qualche ora prima da un fruttivendolo locale per 30 centesimi di dollaro, è quotata per 120 mila dollari, e già questo rende l’idea delle dinamiche contemporanea dove il nome e il semplice atto “artistico” la facciano da padrone. Nonostante l’opera d’arte fosse deperibile, la banana è stata acquistata proprio per 120 mila dollari. Tra l’altro l’opera è pensata per essere rinnovata con una banana nuova. Durante il secondo giorno di esposizione, un altro artista – David Datuna – ha preso la banana di Cattelan e l’ha mangiata in diretta davanti alle telecamere, definendola poi un’opera deliziosa! L’azione è diventata a sua volta una performance artistica, chiamata “Hungry Artist” (l’artista affamato). Il video della banana da 120 mila dollari divorata in pochi morsi ha fatto subito il giro del mondo.
Capolavoro o capolav-ORO?
Dulcis in fundo il direttore di Art Basel, Herald Lucien Terras, ha rassicurato prontamente gli acquirenti degli altri due esemplari dell’opera, venduti a due musei non ancora noti: «Datuna non ha distrutto l’opera d’arte». Perché il valore dell’opera di Cattelan, in questo caso, è dato dal certificato di autenticità e non dalla banana in sé, che può essere sostituita dai proprietari ogni volta che il frutto inizia il suo naturale processo di deperimento. Idea, atto performativo, derisione della psicologia contemporanea.
Seguendo questo andamento suona bene il famoso detto The show must go on!