di Flavio Andriani

Scrittore

 

Eliogabalo, si, proprio lui, l’anarchico incoronato,  il migliore intrattenitore che ha avuto l’Italia da 2000 anni a oggi.

Eliogabalo entra in Roma al mattino di un giorno del marzo del 218, all’aurora, in un periodo che corrisponde pressappoco alle idi di Marzo. E vi penetra a ritroso. Davanti a lui è il Fallo, tirato da trecento fanciulle a seno nudo che precedono i trecento tori, ai quali è stato somministrato un sonnifero ben dosato. Corre a gran velocità col suo carro ricoperto da tele preziose e dietro di lui, il Fallo di dieci tonnellate che segue il convoglio, in una specie di gabbia monumentale, che sembrerebbe fatta per un mammuth.

Oggi al confronto  tutto il resto dell’attuale panorama, nell’involontaria decadenza  teatrale o televisiva  che sia, è appunto  mediocre intrattenimento. Pessimo e a volte appena buono.   Nella primavera del 218, il carro e corteo che aveva attraversato i Balcani, ferma la su corsa a Roma  ed Eliogabalo, fermandosi a esporre le sue ricchezze, rivelando a tutti la sua sontuosità, dà inizio alla musica.  Si fermano tutti. Una musica rude e secca, che plagia gli accenti di certe orchestre assire, musica esoterica e misteriosa, benché romana.   In un intrattenimento mai visto prima. Si sollevano le tele, il Fallo viene montato sul suo zoccolo, rizzato mediante corde, la punta, si fa per dire, in aria. E la banda dei pederasti esce, anche gli attori, danzatrici, galli castrati.  Dice: dà al popolo l’unica cosa che gli importi. Pane e giuochi. 

Tutto  l’ingresso sembra avere il valore di un meraviglioso passo di danza, benché Eliogabalo non abbia nulla di un danzatore. Segue un silenzio. E poi le fiamme si levano, l’orgia, le grida, il rito inutile. Musiche a corda e a percussioni, come crotali, cimbali, lire greche , tamburi egiziani, orchestra di flauti e arpe. Eliogabalo è un anarchico nato, che mal sopporta la corona, e tutti i sui atti di re sono atti di un anarchico nato, nemico pubblico dell’ordine, la sua anarchia la pratica prima di tutto su stesso. Una volta sul trono, non accetta alcuna legge. È il padrone, la sua legge personale sarà dunque la legge di tutti.  Instaura la sua autoanarchia come unica possibilità nella Roma di quella primavera.  In coda al corteo, ultime e dietro di tutti, le lettighe delle tre madri: Giulia Mesa, Giulia Soemia, Giulia Mamea la cristiana che sonnecchia e non percepisce nulla.

Ma nel fatto che Eliogabalo entri in Roma all’aurora, nel primo giorno delle idi di Marzo, al di là del sacerdozio siriaco e dei comuni  costumi romani, c’è che lui vi entra da dominatore. Col di dietro. E per prima cosa si fa inculare dall’Impero Romano.  Per poi farsi inculare anche dall’ultimo dei cocchieri. Seguono castrazioni che egli impone, ma che ogni volta impone come fossero castrazioni personali, come fosse lui stesso, Eliogabalus, a essere castrato. Soltanto che non ne ebbe mai il coraggio. Sacchi di membri vengono gettati dall’alto delle torri con la più crudele abbondanza nel giorno delle feste del dio Pizio.

Il bene. Il male, il sangue, lo sperma, i vini rosati, gli olii profumati, gli aromi più costosi, lo zafferano che ricopre i corpi danzanti, tutto è una corsa per il disordine. Una ricerca forsennata di un nuovo ordine inapplicabile al mondo latino. Un teatro continuo, parossistico. Qui, nulla è più finzione. Tutto è tremenda realtà.  Decadenza. E la decadenza …è bella.  E tanto altro  ancora che ora non voglio  distrarvi troppo.

Ditemi voi adesso, che altro chiamereste vero intrattenimento, un festival di Sanremo? Un Maurizio Costanzo Show? Un misero gay-pride?  Un quiz in televisione? Una barzelletta di un Premier?   Tutto il resto è…intrattenimento.

 

PH: testa dell’imperatore Eliogabalo, Roma, Musei capitolini

 

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