Pet therapy e autismo… facciamo un po’ di chiarezza
di Carolina Coco
Psicologa Psicoterapeuta, ODFLab,
Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università di Trento
Erano gli anni ’60 quando lo psichiatra infantile Boris Levinson notò che la presenza del suo cagnolino durante la terapia aveva degli effetti benefici sui suoi giovani pazienti e iniziò ad utilizzare il termine Pet Therapy.
Da allora gli animali di affezione come cani, gatti, cavalli, delfini sono stati utilizzati nel trattamento di diverse condizioni di sofferenza emotiva e relazionale.
Da tempi antichi l’uomo ha stabilito un rapporto privilegiato con gli animali, addomesticandoli e utilizzandoli per scopi diversi, dal lavoro alla compagnia. Ed è conoscenza comune e molto diffusa che la vicinanza e il rapporto con un animale attiva un rapporto istintivo con gli stati emotivi e ne facilita il riconoscimento e l’espressione.
In Italia, nel 2015 vengono pubblicate le “Linee guide nazionali per gli interventi assistiti con gli animali (IAA)” un accordo stato regioni che regolamenta l’impiego degli animali per tutelare la salute e il benessere delle persone cui l’intervento è rivolto e dell’animale.
La terapia assistita con gli animali viene utilizzata anche nel trattamento dei Disturbi dello Spettro autistico (ASD), disturbi del neurosviluppo che determinano importanti compromissioni nella sfera relazionale e della comunicazione.
Abbiamo intervistato la Prof.ssa Paola Venuti, Direttrice del Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, e Responsabile di ODFLab (http://www.odflab.unitn.it/), centro di riferimento nazionale per la diagnosi e la ricerca sui Disturbi dello Spettro Autistico, per fare un po’ di chiarezza, in un ambito così delicato, ovvero quello dell’intervento e del trattamento, in cui si rischia di creare false illusioni.
Pet therapy o Terapia Assistita con gli animali? Intanto un po’ di chiarezza terminologica.
Ci sono due approcci: la Pet Therapy che si prefigge di fare terapia a diversi disturbi e disabilità attraverso la mediazione dell’animale dove il focus è centrato sull’animale; dall’altra parte abbiamo la terapia assistita con gli animali dove il focus è centrato sul terapeuta.
È importante fare questa distinzione perché non credo che sia assolutamente possibile parlare di una terapia attraverso l’animale focalizzandosi esclusivamente su di esso.
La terapia, proprio per la sua definizione nonché per tutto quello che riguarda il tema della disabilità e delle patologie di tipo mentale, necessita di un progetto, di un piano di intervento e di obiettivi che prevedono la presenza e la responsabilità di un terapeuta.
Essere terapeuta vuol dire aver studiato almeno dieci anni e aver raggiunto una formazione adeguata a svolgere tele ruolo. In genere un terapeuta è uno psicologo o un medico che ha compiuto un percorso di studio, di tirocinio e di specializzazione ben preciso e, pertanto, possiede una serie di conoscenze rispetto alle patologie di cui si occupa e alle strategie di intervento.
Il terapeuta per approcciarsi al paziente può utilizzare una serie di medium tra quelli che si adattano meglio alle caratteristiche del paziente. Nell’ambito degli interventi con bambini, adolescenti, adulti con Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), possiamo avere l’utilizzo della musica come medium e quindi la musicoterapia, con le sue specifiche connotazioni, che prevede l’intervento di un terapeuta che ha alle spalle un percorso specifico che gli consente di utilizzare la musica; allo stesso modo, possiamo parlare di psicomotricità con un terapeuta che utilizza il corpo come medium; possiamo, quindi, parlare di terapia assistita con gli animali con un terapeuta che, utilizzando gli animali come medium, resta, anche in questo caso, la figura centrale dell’intervento .
Gli animali possono essere, allora, dei medium efficaci con i soggetti con autismo?
Non è possibile fare un discorso generale e non tutti gli animali possono essere dei medium efficaci per tutte le persone con ASD. È necessario inserire l’intervento assistito con gli animali all’interno di un progetto che consideri gli obiettivi specifici su cui è necessario lavorare. Un terapeuta riuscirà a costruire la relazione con un soggetto che ha bisogno di regolazione con un animale docile prevedibile e non irruente; allo stesso modo potrà utilizzare un animale, cane o cavallo per lavorare sugli aspetti sensoriali.
In situazioni gravi il contatto con il pelo dell’animale permette di stabilire un prima forma di scambio e comunicazione attraverso una situazione in cui non vengono fatte richieste e vi è solo la condivisione del piacere sensoriale.
Nell’intervento assistito attraverso il cavallo, e non ippoterapia, ci tengo a sottolineare, ci sono molte opportunità per prendersi cura dell’animale, e nello stesso tempo lavorare sulla regolazione, sulla postura, sulla comunicazione (attraverso la possibilità di determinare il comportamento dell’animale, muovendo le redini) sulla consapevolezza del movimento del proprio corpo attraverso il movimento del corpo dell’animale. Anche in questo caso è importante sottolineare che non si tratta di una terapia fatta dall’animale ma di una terapia che è fatta, attraverso l’animale, dal terapeuta che stabilisce, attraverso la conoscenza del soggetto, gli obiettivi su cui è necessario lavorare e che utilizza il cane, il cavallo o altri animali come medium per costruire una relazione con il soggetto ASD.
Bisogna, perciò, evitare che si ricorra, in modo indiscriminato e a tutti i costi, a qualsiasi tipo di terapia assistita con animali quale ennesimo tentativo per provare qualcosa che funzioni e “si approdi”, ad esempio, alla “delfino terapia” perché, se con i cani o i cavalli le cose non hanno funzionato, allora forse potrà funzionare con i delfini.
Imparare a prendersi cura di un animale può essere, tuttavia, un modo per acquisire competenze spendibili nel modo del lavoro?
Prendersi cura di un animale, acquisire un senso di responsabilità, imparare a fare determinate cose, dalla pulizia, alla cura, alla toelettatura permette, sicuramente, di costruire abilità e competenze.
L’acquisizione di tali competenze e l’inserimento lavorativo in allevamenti o in centri specializzati rappresenta, senz’altro, un’opportunità se un ragazzo o una ragazza si appassiona agli animali e alla loro cura. Si creano, insomma, concrete possibilità lavorative. Le abilità relazionali acquisite in una fase iniziale di piacere e gioco con l’animale, attraverso un processo di generalizzazione ad altri animali, possono, in un secondo momento, diventare senso di responsabilità, impegno costante, obiettivi di lavoro sistematici da mantenere in un contesto lavorativo strutturato.
Ottimo lavoro. Chiaro, comprensibile e ricco di informazioni fruibili a vari livelli. Complimenti alle autrici.