Siponto… dove l’arte incontra il futuro
di Francesca Lariccia
Camilla Marinelli
Marianna Meglioli
Milena Poli
studentesse dell’ I.S.I.S.S. “Fiani-Leccisotti”
Indirizzo Classico di Torremaggiore (FG)
A solo pochi chilometri dalla città di Foggia sorge un apollineo esempio di architettura romanica pugliese, la basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto, più comunemente nota come basilica di Siponto. Edificata tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, ha la forma di un cubo sormontato al centro da una piccola cupola e una cripta con ingresso dall’esterno. Circa un secolo dopo, successivi rifacimenti, la dotarono di decorazioni architettoniche, tra cui il pregevole portale, sostenuto da due colonne poggianti sul dorso di un leone.
A ridosso di questa, 600 anni prima, era stata costruita la basilica paleocristiana, a tre navate, con abside centrale e pavimento a mosaico, i cui pregiati elementi musivi, relativi ad una fase di edificazione precedente (IV sec. d.C.), sono oggi visibili all’interno della Basilica Medievale, successivamente eretta.
I resti della basilica paleocristiana testimoniano, dunque, che questo luogo fu sede di una delle più importanti diocesi della regione.
“Il Parco archeologico, che oggi custodisce tali costruzioni, ricorda l’importanza raggiunta dall’antica località, colonia romana dal 194 a.C. e tra i principali porti della Regio II, prima di divenire sede di una delle maggiori diocesi della regione”
Dopo l’impaludamento del porto e due violenti terremoti, nel 1223 e 1255, Siponto venne abbandonata e gli abitanti si trasferirono nella nascente città fondata da re Manfredi, figlio dell’Imperatore Federico II di Svevia, che da lui prese il nome di Manfredonia.
A partire dal 2016, nel Parco Archeologico di Siponto, è stato realizzato il progetto “Dove l’arte ricostruisce il tempo”, una innovativa installazione, in rete metallica, opera del giovane artista lombardo Edoardo Tresoldi.
E’, infatti, un colpo d’occhio vederla, soprattutto di sera, quando, illuminata, i 4500 metri di rete zincata ( con un peso di circa 7 tonnellate e un’altezza di circa 14 metri), sembrano riportare in vita, in una dimensione surreale, l’antica basilica paleocristiana…
Scultore, pittore e scenografo, Edoardo Tresoldi, classe 1987, specializzato nella creazione di installazioni ambientali in rete metallica, ha raggiunto notorietà internazionale proprio grazie alla sua opera di ricostruzione della Basilica paleocristiana di Siponto.
Nel 2017 è stato inserito da Forbes, nota rivista statunitense, nella lista dei più importanti artisti under-30 europei.
Nelle parole del giovane artista cogliamo lo spirito e il significato della sua creazione, con particolare riferimento al rapporto che intende instaurare con il contesto in cui lavora:
“La forma scultorea, essendo tridimensionale, non può far a meno di aprire un rapporto con lo spazio. Poi dato che la mia ricerca si basa sul concetto di trasparenza, il rapporto con il contesto è ancora più essenziale. La mia opera, anziché escludere, vuole includere l’intorno. La tecnica della rete metallica, che ho acquisito nel cinema, mi consente di creare opere che siano disegni nello spazio, capaci di dialogare con il contesto, piuttosto che occuparlo, puntando a una dimensione immateriale e immaginifica. L’architettura poi mi interessa molto perché puoi viverla, abitarla, entrarci in relazione diretta anche con il corpo“.
Un’architettura immateriale, onirica, quasi un disegno, in cui la maestosità dell’edificio e la leggerezza della trasparenza coesistono in un dialogo aperto tra antico e contemporaneo, tra passato e presente, con l’obiettivo di consegnare al futuro la memoria dei luoghi.
Il virtuosismo di Tresoldi ricorda, secondo alcuni pareri, “l’air playing” dei grandi chitarristi. Gesti nell’aria che evocano forme, gesti che evocano suoni, ricordi. Ed eccola che appare in tutta la sua magnificenza, quasi come risultato di un atto psicomagico, davanti ai nostri occhi, la basilica.
“Eppure non c’è”
Non si tratta di realtà virtuale bensì di strutture reali, reti metalliche e materiali industriali, eppure eterei, effimeri. C’è qualcosa d’inafferrabile nell’opera di Tresoldi. Qualcosa che sfugge, nel suo ricreare forme che si confondono col contesto, quasi un adattamento mimetico.
Scandita da nette e complesse scomposizioni visive e volumetriche e accarezzata dagli agenti atmosferici, l’installazione si delinea come un ponte nella memoria del luogo e permette al pubblico di relazionarsi con il tempo e con la storia, lasciando alle generazione future un esempio di architettura del passato.
L’ opera di Tresoldi ricorda da un lato un “ologramma materializzato”, dall’altro rappresenta un originale incontro tra archeologia e arte contemporanea.
A Siponto le macerie, come nel kintsugi, l’arte giapponese di riparare con l’oro le crepe, non vengono aggiustate, restaurate, al contrario, la rottura viene esaltata. I ruderi diventano le fondamenta di una nuova struttura architettonica, uguale all’originale eppure diversa, che acquista un nuovo senso.
I concetti classici di spazio e tempo acquistano una nuova dimensione nell’interazione tra architettura e paesaggio. Le materie assenti si compenetrano, si fondono con l’ambiente in un gioco di trasparenze in cui le forme architettoniche appaiono insieme alle colline, agli alberi e agli uccelli, alla stessa presenza umana.
In questo spazio evocativo a metà tra reale e onirico anche la concezione del tempo perde la sua linearità: quelle rovine, e la Basilica che furono, sono presenti. Ciò che è stato è, ciò che non è più è di nuovo, ma al tempo stesso è immateriale, solo evocato…
“Ci si perde e ci si ritrova in un ‘per sempre’ che
sembra poter appartenere
solo al mito e all’arte.
Quasi a farci credere che quelle rovine siano lì da sempre.
Per sempre. Sospese nel tempo”
Momenti resi infiniti, grazie all’arte di Tresoldi, visionario scultore, come nella celeberrima Creazione di Adamo di Michelangelo, in cui le mani di Dio e Adamo si stanno per sfiorare, da sempre, per tutta l’eternità…