Due estremi che si toccano
di Maurizio D’Anna
fotografo
Hai paura?
C’è di peggio: la paura della paura. È della paura della paura che devi aver paura.
C’è però il peggio al peggio, cioè l’opposto: fingere di non averne.
L’eccesso di paura e di spavalderia spesso sono due estremi che si toccano e si somigliano, una sorta di gemelli diversi…
…Ma andiamo per gradi…
Da qualche giorno un amico un po’ ansioso, essendo la zona della sua abitazione sprovvista d’illuminazione notturna, smanetta ossessivamente su internet alla ricerca di un buon sistema di sicurezza che gli permetta di rilevare la presenza, fuori dalle mura domestiche, di eventuali malintenzionati. Punta ad un rilevatore a sensori piazzato nel giardino sul retro che azioni un sistema d’allarme.
Un amico comune gli scrive nella chat di gruppo: “Ahahaha! Ma dai! Chi vuoi che entri lì! Un uomo mascherato col coltello? Son spese inutili…”
Ho pensato: siamo alle solite, il pericolo polarizza opinioni e posizioni.
Da una parte si rischia che un gatto faccia scattare l’allarme provocando inutili allarmismi, dall’altra si spera di eludere la minaccia negandone l’esistenza. Sovrastima o sottostima.
“Com’è strano il cervello umano… capace di ingigantire in modo sproporzionato un pericolo, andando a pescare nel proprio inconscio traumi passati, ma altrettanto abile nel minimizzarlo, ridicolizzando la fonte delle minacce e, sperando così, di esorcizzare il Male sconfiggendo la paura”
Sono, queste, posizioni estreme che ricordano gli schieramenti esistenti in merito alla pandemia da Covid-19: negazionisti contro ipocondriaci.
La paura non è un male in sé. La paura è un’emozione primaria, utile per scongiurare le minacce e fondamentale per la sopravvivenza della specie. Il pianto del neonato, spaventato dalla visita improvvisa di uno zio sconosciuto, è una richiesta di protezione materna, l’espressione di un bisogno connaturato, un ancestrale sistema d’allarme.
Spesso, questa esigenza neonatale e filogenetica di rassicurazione in braccia familiari da ciò che è oscuro e quindi ostile, anziché sciogliersi si cristallizza nell’adulto, fino a visioni estreme ed alterate che sfociano nel nazionalismo radicale e nella xenofobia.
Ecco perché uno sviluppo sano di un essere umano presuppone un pari sviluppo cognitivo e della sua capacità di discernere le paure reali da quelle immaginarie. Prima di decidere tra bene e male, ciò che è sconosciuto va conosciuto e ciò che è straniero non va estraniato (“People are strange when you’re a stranger”). È importante, insomma, avere una testa capace di gestire la paura, poggiata su spalle larghe per reggerla, un paio di braccia forti per fronteggiarla e, solo se il caso lo richiede, due gambe veloci per fuggire lontano.
È di qualche anno fa il mio progetto fotografico “Pareid’Ulia” che racchiude una serie di immagini di ulivi il cui tronco rivela magicamente altro: un corpo animale, un volto umano, una creatura mitologica…
È un fenomeno comune chiamato “illusione pareidolitica” o più semplicemente “pareidolia” (da cui il nome del progetto); un automatismo del cervello umano teso a ricondurre a forme note profili dalla forma casuale (nuvole, rocce, alberi).
Cosa c’entra tutto questo con la paura?
Pare che questo bisogno di “imparentare” le immagini dipenda molto dall’ansia atavica di rassicurazione e di fuga da paure recondite. Già nell’Età della Pietra l’uomo preistorico viveva con la preoccupazione costante di riuscire a riconoscere in tempo il pericolo per sfuggire da un eventuale predatore celato nella boscaglia.
Quel retaggio primordiale di sopravvivenza sembra essere affine allo sforzo della mente di trascinare l’ignoto, il potenzialmente ostile, nella propria sfera di conoscenza, in una zona di controllo e di confort lontana dalla boscaglia dell’inconscio, esorcizzando così la paura.
“Ah, se solo accogliessimo più spesso ciò che è straniero nel nostro universo familiare, non più hostis ma hospes, per poi arricchirci di ciò che è diverso ma non più strano. Forse così vivremmo meno spaventati dalla vita e dal mondo”
Mentre penso decido di scrivere al mio amico alla ricerca ossessiva del sistema d’allarme migliore per il perimetro di casa. Gli dirò che fa bene ad acquistarlo ma che deve aggiungere una buona telecamera di videosorveglianza, capace di distinguere nell’oscurità un micio da una minaccia e, soprattutto, la paura dal panico.
Spero così possa fare finalmente sogni sereni…
“Ninna nanna, ninna oh
Questo bimbo a chi lo do?
Se lo do all’uomo nero
me lo tiene un anno intero…”
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