Souvenir o elisir?
di Maurizio D’Anna
fotografo
“Ragazzi, volete ve la faccia io la foto così si vede meglio il mare dietro?”… “No, no, preferiamo il selfie come ricordo!”
Oppure: “Amico mio, se ti piace tanto la Fotografia, perché non ti regali una bella reflex per il viaggio?”… “No, no, è più pratico col mio smartphone!”
O anche: “Martina, quando possiamo vedere il tuo fidanzato?”, “Uffa, eccolo”… “Martina, non in foto!”
Nell’era dell’immagine tante sono le situazioni che emergono dal rapporto uomo – macchina fotografica…”
Dentro c’è la necessità di testimoniare l’esistenza di persone o cose tanto da illudersi di sostituire la foto della realtà alla realtà stessa. Dentro c’è l’urgenza di lasciar traccia del proprio passaggio in questo mondo, su una spiaggia, in un concerto… nel proprio bagno di casa!
Tanti i selfie memorabili fatti davanti ad un tramonto unico, persi nel calderone dei tanti selfie memorabili davanti ad un tramonto unico.
Cosa si nasconde dietro milioni di click compulsivi?”
La volontà di congelare l’istante magico prima che sia passato? La preoccupazione che sfumi il ricordo di persone e situazioni? Forse è solo la paura della morte che la Fotografia sembra alleviare…
Eppure tutto ciò non è una dimensione esclusiva della nostra epoca.
Senza scomodare Pittura e Scultura, agli albori della Fotografia c’era persino la moda di farsi immortalare (è proprio il caso di dire) con i propri cari estinti vestiti a festa.
Da questo quadro sembra emergere che un’arte così nobile altro non è che un atto ossessivo con origini psicosociopatologiche…”
Ebbene, certo, talvolta la Fotografia sfocia nel culto maniacale dell’immagine ma, come tutte le forme espressive, se ben gestita, permette di dar vita alla propria creatività, alla propria visione del mondo, al piacere della condivisione.
Partendo da questa sana “forma mentis” si può anche scattare con un semplice smartphone, in quanto ciò che conta è la potenza del proprio cervello alla ricerca di quello che Rolan Barthes chiama il “punctum”. L’esercizio è non limitarsi a guardare, ma anche “sentire oltre”, oltre ciò che la realtà denota, alla ricerca di ciò che connota, affidando ad esso il proprio linguaggio espressivo.
Ansel Adams, fotografo statunitense (1902-1984), diceva: “Non c’è niente di peggio che un’immagine nitida di un concetto sfocato”; ecco perché, raccontare per immagini equivale a cercare verità al di là dello scatto fotografico e fuori dalla scatola della più sofisticata fotocamera professionale. Solo dopo questo processo mentale, l’intervento del giusto mezzo tecnologico farà da supporto per un ulteriore salto di qualità nella rappresentazione del proprio punto di vista.
In considerazione di quanto detto, cosa rende allora unica una foto?”
La bellezza di quel tramonto che sembra proprio una cartolina?
ln primo piano del fidanzatino con la promessa d’eterno amore incorporata?
I centimetri di pelle esposti sul mercato dell’autopromozione social?
“Forse…”
Qualcuno invece ritiene che l’unicità sia tutta contenuta in quell’attimo imprevisto in cui percepiamo una magica, sfuggente, quindi perfetta composizione di elementi di luce e materia… e riusciamo a catturarla. L’esclusività di quell’attimo si comprende solo dopo, quando il meraviglioso incontro tra visibile ed invisibile, tra significante e significato, nel miracoloso fermo immagine di una vita in perpetuo mutamento, si palesa davanti ai nostri occhi increduli…
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