La condivisione che ci salva dall’ansia
Antonio Diurno intervista Pierlugi Bevilacqua
Natale 2021
Quello “post” pandemia.
Quello che nelle speranze di tutti, dovrebbe restituirci,
dopo essere stati nell’occhio del ciclone, un minimo di normalità”
Concederci di tornare ai contatti umani, alle effusioni, agli scambi affettuosi di auguri e allo spensierato stare insieme. Quel periodo dell’anno, nel quale la normale inclinazione dell’uomo alla socialità, raggiunge, forse, il suo apice.
E stare insieme, spesso, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo, può partire dalla condivisione del bello.
Un libro, una canzone, una storia …
E di storie raccontate, spesso attraverso il nero di un palco, ne è esperto Pierluigi Bevilacqua, Direttore Artistico della Piccola Compagnia Impertinente di Foggia che ha accettato il nostro invito a rispondere a qualche domanda.
Cominciamo con una curiosità. Piccola Compagnia Impertinente. Come nasce questo nome e perché? Ci parleresti un po’ della realtà da te creata?
Nasce nel 2010, come compagnia. La parola “impertinente” ci piaceva perché ci dava l’idea che cercavamo: la capacità di usare ironia, sarcasmo per affrontare temi scomodi o di attualità. La fondammo in tre, io, Michela Delli Carri ed Enrico Cibelli. In questi dieci anni la compagnia si è fatta un nome ed è al centro della vita culturale della città.
Quale ritieni sia il ruolo dell’arte e del teatro nella società odierna e, soprattutto, in un mondo nel quale tutto scorre, a volte, troppo velocemente e la comunicazione è spesso multimediale?
Difficile non essere retorici, credo che l’arte vada inquadrata nel contesto sociale in cui è inserita. Nel nostro caso, aver piantato radici al sud e in particolare in una delle città più difficili d’Italia significa fare arte attraverso un’idea di presidio, non solo culturale ma sociale. Spesso nella nostra città le realtà culturali (tante) e di accoglienza si sono sostituite alle istituzioni. Noi della Piccola Compagnia Impertinente siamo questo, un punto di incontro dedicato soprattutto a chi cerca una forma d’espressione, una socialità che permette di crescere come artisti e come persone.
Su quale progetto è attualmente impegnata la Compagnia?
L’ansia di Noè, un monologo in cui la vena comica presente per buona parte dello spettacolo si mescola alla drammaticità del finale. Un racconto che ha come idea principale l’archetipo della solitudine, il suo rapporto con un Dio con cui è in perenne contrasto.
Ritieni che periodi di forte aggregazione sociale, come ad esempio il Natale, possano costituire un limite per chi fa un lavoro artistico? Oppure hai sperimentato, per quella che è la tua esperienza, una maggiore predisposizione del pubblico in periodi come questi?
Non so.
Facciamo un gioco. Perché, io che non ho mai visto uno spettacolo teatrale, dovrei farlo?
Semplicemente perché ne vale la pena! Gli spettacoli non sono soltanto eventi ed evasione.
Servono ad immaginare un’altra realtà e a riflettere sulla propria attraverso le voci e le immagini di chi crea un mondo alternativo. L’emozione vale un biglietto, che sia di gioia o di commozione. La scia che l’esperienza di uno spettacolo teatrale ben fatto lascia nello spettatore è difficilmente paragonabile ad altre esperienze. Poi c’è la componente sociale, perché da noi esiste anche un post-spettacolo, in cui gli spettatori si conoscono e discutono a caldo di ciò che hanno appena visto …