Una storia per ogni festa
di Samanta Leila Macchiarola
docente di latino e greco
Forse non tutti sanno che il Natale ha molti punti in comune con i Saturnali, le feste pagane che gli antichi romani celebravano in onore di Saturno, il dio dell’agricoltura e del raccolto.
Durante il periodo imperiale queste festività si svolgevano tra il 17 e il 23 di dicembre, in concomitanza con il solstizio d’inverno, il periodo più oscuro dell’anno, quando il sole sorge più tardi e tramonta prima.
In quel periodo i lavori nei campi venivano interrotti e i contadini e gli schiavi potevano godere di un breve periodo di riposo dalle fatiche quotidiane.
I Saturnali rappresentavano, per certi aspetti, una rievocazione dell’ Età dell’oro (“Aurea aetas”), mitico periodo privo di guerre, differenze sociali e sofferenze in cui regnava la prosperità e l’abbondanza senza che quest’ultime derivassero da fatiche e sofferenze.
Era l’occasione per celebrare grandi banchetti sia pubblici che privati, fare visita a familiari e amici e scambiarsi dei regali, proprio come succede al giorno d’oggi durante le festività natalizie.
Il poeta Marziale, nella seconda metà del I sec. d.C., dedica due libri della sua ricca raccolta di epigrammi a brevissime composizioni di due soli versi che costituivano il testo di biglietti che avrebbero accompagnato i doni. Si tratta degli “Xenia”, ovvero “i doni per gli ospiti” durante i Saturnali, e degli “Apophoreta”, cioè “ doni da portar via” destinati a sorte ai commensali al termine del convivio.
Talvolta l’oggetto che si dona è presentato nelle sue caratteristiche principali in modo ironico, altre volte sembra che sia l’oggetto stesso a parlare a chi deve riceverlo.
Le tavole imbandite accoglievano i convitati con quanto di meglio la cucina
potesse offrire in un clima di tensione
al benessere e all’abbondanza data dai doni della terra
I Saturnali duravano sette giorni e costituivano una festa per tutte le classi sociali. Anche agli schiavi venivano concesse maggiori libertà: durante le feste diventavano praticamente uomini liberi, potevano indossare le vesti dei loro signori e non aerano obbligati a servirli. Al contrario, spesso erano i padroni a servire i propri schiavi durante i Saturnali, o almeno a organizzare un banchetto per loro.
Per certi aspetti tali festività rimandano al clima del Carnevale di cui condividevano l’atmosfera scherzosa e spensierata.
Va detto, però, che anche i romani festeggiavano il 25 dicembre. Secondo il calendario giuliano introdotto da Giulio Cesare nel 45 a.C., il solstizio d’inverno, che i romani chiamavano bruma, cadeva proprio in quella data. Per questo motivo, il 25 dicembre del calendario giuliano, corrispondente al 21 o 22 dicembre del calendario gregoriano che usiamo attualmente, i romani celebravano la festa del Natalis Solis Invicti, associata alla rinascita di Apollo (e del Sole) dopo il periodo più oscuro dell’anno.
Da questa festa prese spunto l’idea del 25 dicembre come data di nascita di Gesù, data che i cristiani scelsero per eliminare l’antica festa pagana.
Accadde, infatti, che, tra il 320 e il 353, durante il pontificato di Giulio I, forse anche con l’intenzione di convertire i pagani romani al cristianesimo, il papa decise di stabilire la data del Natale il 25 dicembre.
Circa un secolo dopo, la data sarebbe stata riconfermata da Papa Leone Magno e nel 529 Giustiniano la dichiarò ufficialmente festività dell’Impero.
Le Sacre Scritture non dicono in che periodo dell’anno nacque Gesù.
D’altra parte, la prima rappresentazione di un presepe, come “drammatizzazione” della nascita di Cristo, venne realizzata da San Francesco d’Assisi nella notte di Natale del 1223 in una grotta vicino all’eremo francescano, oggi noto come Santuario di Greccio o Santuario del presepe, nel Lazio, in provincia di Rieti.
Invece, la tradizione di decorare un abete durante le festività natalizie proviene dal Nord Europa.
Ma questa è un’altra storia …