Da qualche settimana è stato pubblicato l’ultimo saggio dell’avvocato e docente universitario barese Roberto Varricchio, dal titolo ‘Demopazzia. Alcune aporie della società e del settore pubblico’.
Edito da Aracne, il testo tratta il tema della riorganizzazione della sfera pubblica, particolarmente delicato se si considera il sempre conflittuale rapporto tra istituzioni statali e società civile. L’accattivante e provocante titolo va di per sé al nocciolo della questione e fa intendere come centrale per assicurare il rispetto dei principi democratici in qualsivoglia ordinamento statuale sia pur sempre la selezione della classe dei funzionari dell’apparato amministrativo.
Senonché, soprattutto nel nostro paese è invalsa la pratica conosciuta come ‘spoils system’, per la quale gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare dei governi, sulla base di affiliazioni e fedeltà di natura politica e clientelare, del tutto prescindenti dal merito.
Allo ‘spoils system’ si contrappone il ‘merit system’, in base al quale la titolarità degli uffici pubblici viene assegnata a seguito di un adeguato percorso formativo, come ad esempio accade in Francia, paese nel quale – però – finanche l’ENA’, la ‘Scuola Nazionale di Amministrazione’, è stata recentemente avversata da coloro che l’accusano di essere diventata solo lo specchio dell’aristocrazia d’oltralpe.
‘Demopazzia’ si prefigge proprio di esaminare l’operato dei pubblici funzionari e i legami con la classe politica, ponendo in discussione anche alcuni presupposti dell’intero sistema democratico, come ad esempio il principio del suffragio universale. Dalla democrazia diretta alla epistocrazia, dalla demarchia alla nomocrazia, si registrano svariate proposte di superamento dei meccanismi elettorali tradizionali.
Del resto, si fa sempre più strada l’idea che la titolarità del diritto di voto debba implicare competenza nell’esercitarlo. Se chi sceglie non ha le necessarie capacità, l’eletto è spesso inadeguato a gestire i problemi collettivi. Per rafforzare la democrazia andrebbe allora riconosciuta la differenza di valore dovuta alla fatica individuale. Per poter scegliere i governanti, dovrebbe esser necessaria una preparazione politica almeno elementare, un livello minimo di istruzione. Allo stesso modo l’elezione dovrebbe essere una designazione di capacità.
La farraginosità del sistema, a maggior ragione in tempi di pandemia, genera contraddizioni e minaccia proprio quei principi democratici che dovrebbe assicurare.
“Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia”: l’aforisma di Leo Longanesi sintetizza a dovere ogni difetto ma anche ogni pregio del sistema democratico.
Sarà allora il pericolo di perderla a rendere meno pazza la democrazia?
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