Homo ludens
di Rachele Falcone
psicologa
“Si può scoprire di più su una persona
in un’ora di gioco,
che in un anno di conversazione”
Platone
“Diritto” inviolabile ed insindacabile di ogni bambino, sancito nel 1989 dalle Nazioni Unite, il gioco nell’infanzia si manifesta in quella peculiare modalità che è il gioco simbolico, osservabile tra i 3 e i 6 anni.
È attraverso il gioco che il bambino impara a relazionarsi con gli altri, a percepirsi come soggetto attivo nel mondo, ad acquisire conoscenze, a rispettare le norme sociali; si tratta di una fase fondamentale per lo sviluppo intellettivo del bambino, presupposto indispensabile per il conseguimento di un’identità più matura.
A differenza di come può sembrare dall’esterno, il gioco dei bambini non è un semplice “far finta” poiché in esso viene interpretato un vero e proprio ruolo; giocando, i bambini provano emozioni autentiche che agiscono in una loro realtà, creata e rappresentata mentalmente.
Nella fantasia del gioco, ad esempio, il bambino può interpretare il ruolo della madre che dopo aver preparato un pranzo deve occuparsi di un fratellino che fa i capricci a tavola, oppure quello del papà che si lamenta per l’eccessivo chiasso, ecc.
È in questo modo che impara ad agire concretamente nel quotidiano, imitando gli adulti e immedesimandosi in azioni e situazioni che poi incontrerà e affronterà nella vita.
“Nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee e non dalle cose:
un pezzo di legno può diventare facilmente una bambola e un bastone diventa un cavallo…”
L.S. Vygotskij
È fondamentale che l’adulto non svaluti l’immaginazione e la simbolizzazione del bambino, ma si inserisca nel gioco immedesimandosi e abbandonando le proprie rigidità cognitive, tornando ad essere “esso stesso un bambino”. Questo rappresenta il modo migliore per costruire un legame affettivo e relazionale con il bambino che, sentendosi riconosciuto e considerato, crescerà emotivamente competente e sicuro, sviluppando il senso di fiducia in sé stesso e nell’altro.
Diversamente, se i bambini vengono inibiti, oppure si sentono giudicati e non compresi dagli adulti così come dai coetanei, si chiuderanno fino a divenire introversi e “bloccati” e ciò si manifesterà nei più svariati ambiti della loro vita.
Sta di fatto che, oggigiorno, la vita frenetica e il prepotente dilagare della tecnologia hanno trasformato completamente il gioco che, dall’essere manuale e simbolico, creativo e fantasioso, è diventato tecnologico e interattivo
Se sei un moderno genitore dell’era tecnologica, sicuramente avrai avuto o avrai un bambino che ha giocato, sta giocando, o giocherà con i videogiochi, protagonisti indiscussi di questa forma di “divertimento” (ahimè straniante!) dei bambini e dei ragazzi d’oggi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente indagato il fenomeno dei videogiochi, valutandone le conseguenze sullo sviluppo psicofisico dei bambini ed ha evidenziato l’esistenza di una vera e propria dipendenza, chiamata “gaming disorder”, basata sul meccanismo della ricompensa.
Esaminando il quadro generale, emerge, tra i contro e i pro, che il videogioco insegna a giocare con amici (reali ma, spesso, perfetti sconosciuti!); quindi, a fare ‘gioco di squadra’ ma senza reali capacità interattive; infine, insegna a prendere decisioni velocemente, ad essere preciso e sviluppa, in modo particolare, le abilità visuo-spaziali (coordinazione occhio-mano).
Il bambino si diverte nell’aumentare gradualmente il livello di difficoltà e acquisisce ad ogni nuovo livello maggiore fiducia nelle proprie abilità.
Tuttavia, di pari passo, si assiste al calo del rendimento scolastico, ad un maggiore isolamento sociale e all’aumento dei comportamenti aggressivi, anche nei confronti dei genitori, dal momento che il videogioco non permette lo sviluppo di competenze empatiche, relazionali ed emotive, necessarie per le reali interazioni sociali.
Inoltre, ad un uso eccessivo di videogiochi, si associano spesso problemi di obesità, disturbi del sonno, disturbi posturali, problemi di vista, un’errata percezione del tempo che passa e, più di rado, convulsioni video-indotte.
Esiste, dunque, un ampio consenso nella comunità scientifica secondo la quale i videogiochi, non solo modificano il rendimento del cervello, ma anche la sua struttura.
Il problema non è nella tecnologia, ma nell’uso che se ne fa; i genitori, in effetti, non possono vietarla, ma possono, anzi, dovrebbero, regolamentarne i tempi e i modi di accesso.
Constatiamo, tuttavia, che agli adulti, genitori, nonni, insegnanti o educatori che dir si voglia, risulta sempre più difficile svolgere tale ruolo, se non, addirittura, impossibile …
Eppure questa è l’unica possibilità per guidare responsabilmente i propri figli e non solo, verso una crescita consapevole, in cui il videogioco si alterna con le corse in bici e le partite a pallone.
È qui che si “gioca” il futuro dell’ homo ludens, ovvero, di quel bambino che, per aver giocato, sarà un adulto in grado di “giocare la vita”…
Dott.ssa Rachele Falcone
Psicologa e psicoterapeuta specialista in Psicologia Breve Strategica.
Psicoterapeuta EMDR.
Esperta in riabilitazione cognitiva con metodo Feuerstein.
Specialista in disturbi sessuali e problemi di coppia.