Gender fluid? Moda pioniera
di Giovanna Quaratino
L’ispirazione nel parlare di un tema così presente è emersa osservando ancora una volta un Carnevale appena concluso.
Una festa che vede protagonisti costumi, maschere, cambiamenti di ruolo e di genere.
Non manca quindi una donna vestita da uomo e viceversa.
Facendo un passo indietro fin dalla nascita di ogni bambino c’è un colore che identifica il sesso del nascituro, celeste per i maschietti e rosa per le femminucce.
Da notare che ho scritto sesso non genere, perché fra i due termini c’è una distinzione; Il sesso è la rappresentazione delle caratteristiche biologiche e fisiche, il genere è l’identità in cui ogni individuo si rispecchia all’interno della società.
La moda in tal senso è l’unico strumento attuale che cerca sempre più di assottigliare questa differenza.
Termini come genderless – gender blurring – geneder fluid style sono sempre più presenti nel panorama attuale, ma non di certo recenti.
Infatti nella storia del costume contemporaneo già negli anni ’20 vediamo esempi di una donna anticonvenzionale, la cossidetta “donna crisi” ovvero una donna magra e androgina che andava contro all’immagine tradizionalmente diffusa della “donna autentica” formosa e casalinga. Una donna che dopo la Guerra fredda era scattante, necessitava di abiti comodi e di praticità.
Negli stessi anni l’artista Ernesto Michaelles, in arte Thayaht, propone il primo indumento unisex, anche se come termine lo vedremo comparire solo negli anni ’60, ovvero la tuta, una T intera che voleva andare contro agli schemi prefissati.
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Una figura predominante, tra la fine degli anni’20 e ’30, nel cinema e non solo ha sempre adottato consapevolmente un intento provocatorio nel vestirsi: Marlene Dietrich.
Uno stile ben chiaro e confezionato, completi e accessori dal taglio maschile, difatti con il marito faceva parte della “divine decadence” della Berlino sotto la Repubblica di Weimar. Un movimento non solo artistico ma aperto alla diversità sessuale. La Dietrich incarnava perfettamente lo stereotipo del crossdressing, ovvero indossare vestiti del genere opposto.
Sorvolando poi sull’antichità, proprio negli anni ’60 l’uomo comincia a mettere in discussione le regole dettate dalla società; Come?
“Rimpossessandosi” della gonna nella cultura punk, grunge e glam rock.
Non pochi brand hanno sottolineato più volte questo messaggio, come Vivienne Westwood, Raf Simons, Alexander McQueen, Jean Paul Gaultier o lo stilista francese Jacques Esterel che introdurrà nel 1966 la gonna da uomo e capi da collezione unisex.
Nonostante questi breve accenni storici si pensa che alcuni termini o alcune manifestazioni siano nate da poco. Ancora si fa fatica ad entrare in questa rivoluzione culturale, nonostante il cosiddetto binarismo di genere sta cambiando la percezione o in parte lo slang utilizzando pronomi impersonali per autodefinirsi, proprio per allontanarsi dal celeste e dal rosa del maschietto e della femminuccia.
Manifestazioni e messaggi che sembrano solo recenti, forse, anche perché trasmesse e veicolate da celebrità quali Harry Styles, Kurt Cobain, Damiano dei Maneskin o personaggi ampiamente considerati “virili” come Vin Diesel, Brad Pitt, Kanye West.