Inflazione 2023: uno spettro per ghostbuster dell’economia

Inflation spelled in letters with shopping basket and piggy bank on seesaw against dark background

 

di Ermes Strippoli

 

Nell’ultimo anno, dai dati stimati dall’ISTAT (Istituto nazionale di statistica), l’inflazione è regredita a un tasso del 6,4%, ma nell’ultimo periodo è in rialzo dell’8,2%. L’accelerazione del tasso di inflazione si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,6%) e, in misura minore, a quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,9%) e dei servizi vari (da +2,5% a +2,9%).

 

Ci sono però delle buone notizie, infatti, secondo le previsioni degli esperti, a fine 2023 l’inflazione scenderà al 6,3%, del 3,4% nel 2024 e del 2,3% nel 2025.

 

L’inflazione, come tutti stanno provando sulla propria pelle, è un fenomeno economico che mette in difficoltà i cittadini perché aumentano le spese famigliari, i mutui, i prestiti e fa diminuire gli stipendi e i risparmi.

 

In Europa, per la BCE (Banca Centrale Europea), l’obiettivo principale è mantenere la stabilità dei prezzi nella zona euro, definendo una target di inflazione “inferiore ma vicino al 2%”. Ciò significa che l’inflazione deve essere mantenuta a un livello basso e prevedibile nel medio termine, al fine di garantire la fiducia nella moneta e favorire la crescita economica.

 

Però, negli ultimi anni, l’Europa e l’Italia hanno sperimentato un periodo di inflazione relativamente alto. Infatti, dopo la pandemia di COVID-19 e la guerra in Ucraina, l’economia Europea ha subito un colpo significativo con il raggiungimento dell’11,6% del tasso di inflazione.

 

L’impatto della crisi pandemica sull’inflazione è stato complesso. Da un lato, la diminuzione della domanda interna e l’aumento della disoccupazione hanno esercitato una pressione al ribasso sui prezzi. Dall’altro lato, i cambiamenti nelle catene di approvvigionamento globali e l’aumento dei costi di produzione possono aver contribuito ad alcune tensioni al rialzo dei prezzi.

 

Mentre, l’aumento dell’inflazione legato alla guerra in Ucraina ha molteplici motivazioni:

 

  • Aumento dei prezzi delle materie prime: L’Ucraina è un importante produttore e esportatore di materie prime, in particolare di grano, acciaio e gas naturale. Se la guerra interrompe o ostacola la produzione o l’esportazione di queste risorse, potrebbe verificarsi una carenza sul mercato internazionale, determinando un aumento dei prezzi delle materie prime. Questo potrebbe influire sui costi di produzione delle aziende e, a sua volta, portare a un aumento dei prezzi dei beni e dei servizi.

 

  • Instabilità economica e finanziaria: La guerra può causare un’instabilità economica e finanziaria nell’area coinvolta, con conseguenti effetti sull’inflazione. Gli investimenti potrebbero diminuire, le aziende potrebbero ridurre la produzione e i consumatori potrebbero ridurre la spesa, portando a una diminuzione della domanda aggregata. Questo potrebbe influenzare i prezzi al ribasso o al rialzo, a seconda delle circostanze specifiche.

 

  • Fluttuazioni valutarie: Durante periodi di conflitto, le valute possono subire forti fluttuazioni. La svalutazione della valuta locale può influenzare i prezzi dei beni importati, che diventano più costosi per i consumatori nazionali. Ciò potrebbe contribuire all’aumento dell’inflazione attraverso l’effetto di pass-through.

 

  • Impatto sull’offerta di energia: L’Ucraina è un importante corridoio per il trasporto di gas naturale verso l’Europa. Se la guerra provoca interruzioni o instabilità nell’approvvigionamento di energia, potrebbe verificarsi un aumento dei prezzi dell’energia, con conseguenze sull’inflazione sia a livello regionale che globale.

 

La BCE e il governo Italiano, per contrastare l’inflazione, hanno adottato una serie di misure espansive, tra cui politiche monetarie accomodanti:

 

  • Politiche monetarie restrittive: Le autorità monetarie possono adottare politiche volte a ridurre l’offerta di moneta nell’economia riducendo l’offerta di moneta, si cerca di frenare la domanda aggregata e quindi il livello dei prezzi.

 

  • Politiche fiscali adeguate: Il governo può adottare politiche fiscali per affrontare l’inflazione da costi. Questo potrebbe comportare la riduzione della spesa pubblica o l’aumento delle imposte al fine di ridurre la domanda aggregata e limitare l’inflazione.

 

  • Aumento dell’efficienza produttiva: Le aziende possono cercare di ridurre i costi di produzione attraverso l’implementazione di miglioramenti nell’efficienza operativa. Ciò potrebbe includere l’automazione dei processi, l’adozione di tecnologie più efficienti o la rinegoziazione dei contratti di approvvigionamento per ottenere prezzi migliori.

 

  • Investimenti in ricerca e sviluppo: Promuovere l’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie può contribuire a ridurre i costi di produzione a lungo termine. L’investimento in ricerca e sviluppo può portare a nuove scoperte e a processi di produzione più efficienti, che possono ridurre i costi complessivi e limitare l’inflazione.

 

  • Politiche di controllo dei prezzi: In alcune circostanze, il governo potrebbe intervenire per limitare l’aumento dei prezzi di determinati beni o servizi considerati essenziali. Tuttavia, questo tipo di intervento può avere effetti indesiderati, come la creazione di scarsità o distorsioni nell’economia.

 

 

 

 

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