di Francesco Scorrano

Nel mondo della finanza aziendale, l’analisi di bilancio rivela spesso strategie sottili adottate dalle aziende per presentare i propri risultati finanziari in modo favorevole.

Un aspetto cruciale è il trattamento del capitale sociale e delle riserve. Per ridurre le spese di costituzione e le imposte di trasferimento, alcune aziende scelgono di non attribuire alle azioni il loro pieno valore nominale. Questo approccio permette di espandere l’impresa senza far crescere il capitale sociale, compensando il valore mancante attraverso diverse riserve. Per un’analisi finanziaria accurata, è dunque essenziale considerare il capitale sociale insieme alle riserve accumulate.

Un’altra area di attenzione riguarda le immobilizzazioni immateriali. Alcune società, per aumentare l’attivo dello stato patrimoniale, possono gonfiare il prezzo delle immobilizzazioni intangibili, come l’avviamento. Tuttavia, le aziende finanziariamente solide tendono a ridurre questo valore attraverso ammortamenti consistenti, portandolo quasi a zero. In generale, le cifre associate agli attivi immateriali nello stato patrimoniale dovrebbero essere considerate con cautela. Sebbene queste attività possano avere un valore significativo, è il conto economico a offrire indicazioni più precise sul loro reale impatto economico.

Per quanto riguarda le immobilizzazioni materiali, oggi si tende a dare maggiore enfasi ai risultati in termini di utili, suggerendo di non dare troppo peso alle immobilizzazioni, ma neppure di ignorarle del tutto. Alcune aziende, infatti, potrebbero mantenere le loro immobilizzazioni al prezzo di costo, gonfiando così il valore riportato. L’ammortamento gioca un ruolo cruciale in questo contesto, con tassi tipici che variano dal 2 al 5% per i fabbricati, dal 7 al 20% per i macchinari, dal 10 al 15% per arredi e attrezzature, e dal 20 al 25% per automobili e camion. Per settori specifici come quello chimico o automobilistico, può essere necessario applicare un’ulteriore tariffa di obsolescenza.

Un aspetto correlato è l’esaurimento, una quota simile all’ammortamento che copre il valore delle risorse naturali estratte dal terreno. Questo si osserva principalmente nelle aziende minerarie, petrolifere e di gas naturale. Le cifre addebitate per l’esaurimento possono essere distribuite agli azionisti come dividendi, generalmente designati come “rendimento del capitale” e, quindi, non tassabili come reddito per l’azionista.

I risconti attivi rappresentano un’altra voce di bilancio che richiede attenzione. Queste spese anticipate di solito non superano una piccola percentuale degli attivi totali dell’azienda e hanno un’importanza limitata nell’analisi dello stato patrimoniale, se non per il fatto che forniscono informazioni su come l’azienda conduce i propri affari. La voce risconti attivi sarà infatti ammortizzata progressivamente fino alla fine del contratto di servizio.

Gli oneri differiti sono costi elevati che un’azienda potrebbe sostenere per l’organizzazione di ciò che ha pagato come risconto attivo. Questi costi possono essere ammortizzati durante l’anno successivo, simili ai risconti attivi, e quindi hanno poca rilevanza nell’analisi finanziaria. Un esempio comune di oneri differiti sono le spese sostenute per creare una nuova azienda, iscritte alla voce “spese organizzative”. Anche le spese di emissione delle obbligazioni rientrano in questa categoria.

Il capitale circolante, definito come la differenza tra attivo circolante e passività correnti, è un indicatore fondamentale della robustezza finanziaria di un’impresa industriale. La capacità di un’azienda di condurre le sue attività normali senza intoppi, di espandere il proprio business senza dover ricorrere a finanziamenti esterni, e di fronteggiare perdite o emergenze senza rischiare disastri dipende dal capitale circolante. Un investimento elevato in immobilizzazioni, invece, contribuisce poco a far fronte a queste situazioni. La mancanza di capitale circolante può provocare ritardi nei pagamenti, un calo del rating creditizio, un rallentamento dell’attività e l’incapacità di progredire, con il rischio più grave di insolvenza e di coinvolgimento del tribunale fallimentare. La quantità ideale di capitale circolante dipende dall’ammontare del giro d’affari dell’azienda. Un metodo di valutazione comune è la quantità di capitale circolante per dollaro di fatturato. Tuttavia, per settori come quello ferroviario o dei servizi pubblici, questo dato va considerato diversamente, poiché è possibile che le passività correnti superino l’attivo circolante per consentire l’espansione attraverso i finanziamenti, pur mantenendo una situazione costante e positiva del capitale circolante.

L’indice di liquidità, che rappresenta il rapporto tra attivo circolante e passività correnti, è un altro parametro cruciale. Il rapporto minimo accettabile per un’azienda è di 2 a 1, anche se questo può variare a seconda del settore. Ad esempio, ferrovie e utility non necessitano di mantenere questo rapporto, poiché non dispongono quasi mai di scorte di magazzino.

Le rimanenze di magazzino, sebbene possano aumentare l’attivo dello stato patrimoniale, possono anche rappresentare un rischio se eccessive. Un magazzino troppo pieno potrebbe indicare che una parte della merce è invendibile, richiedendo una riduzione del prezzo per smaltirla. L’indice di turnover, calcolato dividendo le vendite annue per le giacenze di magazzino a fine anno, è un indicatore chiave: un turnover alto suggerisce un magazzino ben gestito con poche rimanenze.

I crediti aziendali richiedono una gestione oculata. Se i crediti risultano sproporzionati rispetto alle vendite o ad altre voci, ciò potrebbe indicare una politica creditizia troppo generosa, con il rischio di incorrere in perdite significative.

Le disponibilità liquide, se elevate rispetto al prezzo di mercato dei titoli, sono generalmente viste come un fattore positivo. Gli azionisti possono trarre vantaggio da queste disponibilità attraverso la loro distribuzione o il loro impiego produttivo all’interno dell’azienda.

Un aumento rapido degli effetti passivi, come i prestiti bancari, rispetto al fatturato e ai profitti, potrebbe essere un chiaro segnale di debolezza finanziaria.

Le riserve sono un altro aspetto da considerare attentamente. Possono rappresentare passività più o meno definite, come imposte, sinistri o cause pendenti, o essere utilizzate per compensare l’attivo, come nel caso di ammortamenti, esaurimenti o svalutazioni crediti. Se un’azienda registra un utile netto di 2 milioni di dollari ma la riserva di 6 milioni dell’anno precedente è scomparsa dal bilancio, si può dedurre che l’azienda abbia effettivamente perso 4 milioni. In alcuni casi, una riserva viene trasferita nelle eccedenze, influenzando così la percezione dell’utile. Per evitare errori di valutazione, è essenziale controllare ogni anno le variazioni delle riserve e delle eccedenze, tenendo conto delle eventuali perdite che potrebbero essere nascoste in queste voci.

 


FOTO: di Francesco Scorrano

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