Se un confronto militare come quelli che oggi ci preoccupano degrada fino a divenire sequela di omicidi mirati, guidati da informazioni spesso rivenienti da ambienti vicini alle vittime e quindi coinvolge personalmente i capi e i loro gregari, diviene quasi impossibile che si possa realizzare la pace. È come se si fossero voluti tagliare i ponti alle spalle nel cammino verso una guerra più vasta. Inoltre il confronto si sviluppa anche a livello tecnologico; una specie di video gioco in cui i droni e missili si distruggono a vicenda fino a consumare le capacità produttive di coloro che li realizzano. Qualcuno crede di possedere più soldi e più capacità produttiva e quindi insiste. Ma questo scontro tra tecnologie -visto che non contempla la ipotesi della pace e della collaborazione alla costruzione di una convivenza pacifica- non potrà non portare alla mutua distruzione dei sistemi economici dei contendenti e delle tecnologie stesse. Distruzione della tecnologia che è il punto vero di questo momento storico. Quindi è tutto solo agli inizi; serve prepararsi al peggio al fine, se possibile, di minimizzarne le conseguenze su ognuno di noi.
Le popolazioni più miti (che non significa codardia … mitezza significa civiltà e rispetto per l’altro) come quelle del Sud Italia (Sud Italia che vorremmo chiamare Mediterranea) che interesse hanno in tali confronti? Da che parte stare e perché? Il riscatto tanto anelato di Mediterranea che è di natura economica come può essere favorito dalla partecipazione ad una guerra? O è meglio starsene fuori?
La guerra in atto (non sembrano essere due o più guerre come due o più sono i luoghi in cui accadono, ma, da certi segnali sembra essere una sola) non è chiara né nei suoi protagonisti effettivi, né negli interessi perseguiti, né nelle modalità che si vogliono attuare: quindi è consigliabile stare a guardare attendendo gli sviluppi e, quel che più conta, attendendo di capire cosa potremmo trovare da guadagnarci. A tutt’ora si sono dilapidati miliardi e al massimo, forse, chi li ha anticipati potrebbe ricavare la partecipazione alla ricostruzione (cioè spendere altri soldi) a vantaggio di qualche grande impresa di chissà quale economia; laddove noi italiani abbiamo bisogno di spendere quei soldi qui al Sud quanto meno sottoforma di riduzione fiscale. Quindi la linea seguita da un po’ tutto l’Occidente o è errata o non ci è stata raccontata nella sua interezza.
Tutto ciò significa che la cosa di cui l’intero pianeta ha bisogno adesso è proprio della moderazione e della mitezza propria della cultura latina; che solo la cultura latina può insegnare al resto del mondo. Mitezza e moderazione che si può provare ad avvicinare o raggiungere almeno con la dichiarazione ufficiale della neutralità. Neutralità che ovviamente non significa pacifismo ma difesa della propria integrità territoriale anche a costo di armarsi fino ai denti. Neutralità che potrà rivelarsi preziosa nel periodo postbellico che sarà caratterizzato da vasti sistemi economici rasi al suolo. Peraltro saremo in buona compagnia in quanto vi sono alcune future superpotenze che probabilmente si terranno prudentemente fuori da questa folle guerra suicida. Peraltro qualcuno dei protagonisti di questa guerra pur provocati non stanno rispondendo alle provocazioni stesse evidentemente per riservarsi di farlo nei modi e nei tempi più favorevoli. Quindi la storia è appena cominciata e non si conoscono affatto i contorni e i ruoli. Gli stessi eserciti in campo -spesso mercenari- chi li sta pagando e quanto costano? E, soprattutto, perché li stanno pagando?
Usualmente se le cose non si dicono è perché se ne vergognano, sono inconfessabili, cioè non incontrerebbero il favore dell’opinione pubblica mondiale.
Quindi uno dei temi fondamentali del meridionalismo più genuino e prudente è osservare e dichiarare senza tentennamenti la nostra più ferma e totale neutralità perenne.
Quando scoppiò la seconda guerra mondiale era chiaro chi combatteva (cioè degli stati sovrani con i loro eserciti) e perché. Poi si scoprì che sotto le vesti ufficiali v’erano varie concezioni della vita (nazionalismo, comunismo, consumismo, confessionalismo,…) in potenziale conflitto tra di loro, che non consentivano la pacifica convivenza. Da allora il peso nella politica internazionale delle componenti ideali è aumentato e le varie identità si sono radicalizzate anche e proprio a seguito dello sviluppo dei mezzi di comunicazione che ha infittito il dialogo interno ad ogni gruppo omogeneo; infatti l’avvento di internet e tecnologie annesse lungi dal rendere tutti uguali ha fortemente radicalizzato le differenze e quindi anche le incomprensioni; quindi lo scontro non può essere evitato se non si trova un modello di convivenza tra differenti identità coerente con le nuove tecnologie. Questo non è ancora accaduto e quindi sembra che ci sia qualcuno che cerca la distruzione fisica (quella cosa che si chiamava genocidio) dell’altro. Cosa dalla quale non siamo esclusi. Quello che serve dunque è un modello di convivenza tra le varie identità (che sono tante) che già nelle numerose società multietniche esistenti non riescono a comprendersi…
La classe di intellettuali del Sud o, meglio, come diciamo noi, di Mediterranea, che da millenni hanno convissuto con le più disparate identità dell’epoca devono proporre una sensibilità fondata sulla mitezza e tolleranza e collaborazione e mutuo completamento che possa permettere la edificazione del comune futuro.
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