La proposta, presentata a Milano, di rendere a pagamento l’accesso alla Fontana di Trevi ha suscitato non poche riflessioni, oltre che una ferma opposizione da parte delle aziende del settore turistico. Daniele Brocchi, direttore di Assoturismo Confesercenti Roma, ha stroncato l’idea lanciata dall’assessore al Turismo Alessandro Onorato, descrivendola come un mero tentativo di “fare cassa”, incapace di affrontare le reali problematiche della piazza.

L’idea di Onorato, supportata anche dal sindaco Roberto Gualtieri, prevede di regolamentare l’accesso alla Fontana con un biglietto di 2 euro, istituendo un sistema di prenotazione e ingressi controllati, al fine di ridurre gli assembramenti che da anni soffocano l’opera. Ogni visitatore avrebbe circa 30 minuti per ammirare il monumento, sotto la sorveglianza di steward e hostess.

Ma oltre all’aspetto pratico, questo progetto solleva una questione più profonda: può un’opera d’arte, concepita per essere libera e parte integrante della vita cittadina, essere rinchiusa dietro a un sistema di pagamento e limitazioni temporali? Secondo Brocchi, la risposta è un netto no. Egli definisce la proposta “diabolica”, argomentando che la Fontana di Trevi, come molti grandi monumenti, è stata progettata per essere vissuta e non solo contemplata da lontano. Un monumento immerso nella città, non separato da essa, la cui bellezza risiede anche nell’esperienza quotidiana e democratica di chiunque vi passi.

Questa prospettiva filosofica ci invita a riflettere su un dilemma che tocca il cuore stesso del rapporto tra il turismo di massa e il patrimonio culturale. Imbrigliare un simbolo di Roma come la Fontana di Trevi dietro a barriere economiche e temporali non rischia di alienare ciò che rende il monumento davvero parte dell’anima cittadina? Si tratta di una scelta che potrebbe tradire l’essenza stessa del monumento, trasformandolo in un bene esclusivo, quando invece la sua natura è universale.

La questione dell’“overtourism”, spesso additata come giustificazione per misure del genere, è un fenomeno complesso. Brocchi critica aspramente questa parola, ritenendola una moda del linguaggio contemporaneo che, nella sua semplicità, rischia di trascurare le vere radici del problema. Il turismo, afferma, è un flusso naturale che non può essere arginato con soluzioni così rigide. Piuttosto, il focus dovrebbe essere posto sulla gestione della città, sui servizi che possono facilitare un’esperienza più sostenibile, senza rinunciare alla libertà d’accesso.

Alla luce di queste considerazioni, la domanda è aperta: è giusto che un monumento iconico come la Fontana di Trevi diventi accessibile solo attraverso un sistema di prenotazioni e pagamenti? Questa scelta potrebbe segnare una svolta nella gestione dei beni culturali, ma con essa si rischia di perdere quel legame spontaneo e autentico che rende una città viva. Siamo pronti a sacrificare l’accesso libero alla cultura per una gestione più ordinata del turismo, o esistono altre vie? Forse, nella risposta a questa domanda, si cela il futuro stesso della nostra civiltà culturale.

 


FOTO: di Rafelia Kurniawan su Unsplash

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Abilita le notifiche per non perderti nessun articolo! Abilita Non abilitare