Neutralità culturale in epoca di social media
di Francesco Scorrano
In un mondo sempre più digitale, il concetto di neutralità culturale si trova ad affrontare una sfida senza precedenti: quella dei social media. Se da un lato queste piattaforme hanno permesso a voci diverse di emergere, dando spazio a una varietà di culture e prospettive, dall’altro hanno introdotto meccanismi che spesso spingono verso una polarizzazione dei contenuti.
La logica che governa i social media tende infatti a favorire visioni estremizzate o parziali, minando la possibilità di un’autentica neutralità culturale. La personalizzazione è al centro del funzionamento dei social media. Gli algoritmi di piattaforme come Facebook, Instagram e TikTok selezionano e promuovono i contenuti che ritengono più pertinenti per ciascun utente, basandosi su preferenze e interazioni passate.
Questa selezione, però, ha il suo rovescio della medaglia: costruisce per ciascun utente una bolla di filtraggio, una sorta di universo culturale personale in cui le informazioni che confermano i propri punti di vista sono sempre più frequenti, mentre quelle che li mettono in discussione vengono filtrate o rimosse.
Questa personalizzazione algoritmica riduce il contatto con prospettive diverse e rende difficile raggiungere una visione equilibrata delle culture e delle questioni globali. Le culture altrui, rappresentate secondo stereotipi o semplificazioni, perdono così la loro complessità e finiscono per essere rappresentate in modo parziale, limitando il dialogo interculturale.
Oltre alla personalizzazione, i social media tendono a polarizzare i contenuti per stimolare l’engagement. Sondaggi e studi recenti dimostrano che i contenuti controversi o polarizzanti ricevono più interazioni rispetto a quelli neutri, e questo spinge gli algoritmi a favorire il dibattito acceso e la divisione.
Le culture rappresentate sui social media vengono spesso dipinte in termini assoluti e contrapposti, spingendo gli utenti a schierarsi in maniera rigida. Questa polarizzazione limita l’accesso a prospettive neutrali e sfumate, alimentando la percezione di un mondo diviso tra “noi” e “loro.” La rappresentazione culturale, quindi, si trasforma spesso in una lotta per l’identità, accentuando pregiudizi e incomprensioni.
Eppure, questa dinamica dei social media non si limita solo al campo culturale: trova un terreno fertile anche nelle questioni geopolitiche e nei conflitti globali, dove la narrazione di guerra diventa sempre più una guerra di narrazioni. I contenuti polarizzati non solo riducono la comprensione della complessità dei conflitti, ma anche manipolano l’opinione pubblica, spingendo verso posizioni estremiste o sensazionalistiche.
L’informazione, che dovrebbe aprire alla comprensione delle sofferenze e delle implicazioni universali di un conflitto, finisce spesso per dividere e spingere verso letture semplificate, dove si perde la possibilità di dialogo.
In questo contesto, una domanda emerge spontanea: siamo davvero capaci di mantenere una visione neutrale e aperta, o siamo tutti, in qualche modo, vittime della polarizzazione digitale?
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