di Ermes Strippoli

La guerra non si limita a distruggere vite e città: colpisce anche l’anima dei popoli, racchiusa nei loro patrimoni culturali. Monumenti, opere d’arte, libri e tradizioni sono spesso vittime silenziose dei conflitti, cancellati o danneggiati per sempre. A volte questa distruzione non è neanche un effetto collaterale, ma un obiettivo strategico, pensato per annientare l’identità stessa di una comunità.

Gli esempi di patrimoni perduti continuano a ripetersi sotto i nostri occhi. In Ucraina, il conflitto in corso ha devastato città storiche come Mariupol e Kharkiv, riducendo in macerie teatri, musei e cattedrali che erano non solo simboli di bellezza, ma anche di memoria collettiva. Anche luoghi patrimonio dell’UNESCO, come il centro storico di Leopoli, sono sotto costante minaccia. Ogni bomba che cade in questa guerra non distrugge solo edifici, ma anche pezzi della storia e dell’identità di un popolo.

In Palestina e Israele, il ciclo di violenza colpisce da decenni non solo le persone, ma anche il cuore pulsante della cultura. Gerusalemme, città simbolo per tre religioni, è spesso teatro di tensioni che rischiano di compromettere la conservazione di siti sacri e storici di inestimabile valore. Nei territori palestinesi, la distruzione di case, scuole e moschee sottrae alla popolazione non solo spazi fisici, ma anche simboli vitali della loro identità culturale e spirituale. In questi conflitti, la lotta per la terra si intreccia inevitabilmente con una lotta per la memoria.

Eppure, la cultura non è solo una vittima: è anche un simbolo di resistenza. In Ucraina, artisti e cittadini si sono mobilitati per proteggere i monumenti con sacchi di sabbia, trasformando ogni gesto in un atto di difesa collettiva. Nei territori palestinesi, la trasmissione orale di poesie, canti e tradizioni continua a mantenere viva l’identità di un popolo, anche quando tutto intorno sembra crollare.

Proteggere la cultura non significa solo preservare un quadro, un tempio o una tradizione: significa salvaguardare il filo che unisce il passato al presente e che ci permette di capire chi siamo. Questo patrimonio non appartiene solo a una nazione, ma all’umanità intera. Senza di esso, perdiamo pezzi importanti della nostra storia comune.

Le organizzazioni internazionali, come l’UNESCO, stanno cercando di intervenire per salvare ciò che è ancora possibile proteggere, ma il loro lavoro è reso difficile dalla violenza e dall’instabilità. Grazie alla tecnologia, possiamo almeno conservare virtualmente ciò che rischia di andare perduto: scansioni 3D, fotografie e archivi digitali sono strumenti preziosi per assicurare che, se non possiamo preservare il reale, possiamo almeno ricordarlo.

La cultura è un’eredità preziosa, una testimonianza di chi siamo stati e una guida per chi saremo. Distruggerla significa cancellare non solo il passato, ma anche il futuro. È nostro dovere, soprattutto nei momenti di pace, proteggerla e valorizzarla, perché nei momenti più bui può diventare una luce di speranza. Difendere la cultura non è solo un atto di conservazione, ma un gesto di amore verso ciò che ci rende umani, anche nei momenti più difficili della nostra storia.

 


FOTO: di Freepik

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