Orient Express
“Assassinio sull’Orient Express” pich by http://www.culturaeculture.it/non-solo-film/assassinio-sull-orient-express-78708/
di Flavio Andriani
scrittore, autore di “L’uomo che cammmina”, Les Flâneurs Edizioni, 2016
Oriente. Lì dove il sole sorge. Una volta era l’Orient Express, mitico tragitto ferroviario che portava da Parigi fino a Costantinopoli, a far eccitare una borghesia di inizio secolo. Letteratura, arte e cinema non si sono risparmiati sul tema. Da Gauguin che rimase stregato dalle donne tahitiane al nostro Francesco Netti che cedette alla passione romantica dell’oriente immaginario, misterioso e fatto di harem, di morbide figure di donne svestite o di perle ricoperte, languide e dormienti tra rossi tessuti e arabesche trame, sogni proibiti e crocevia di vite. Ma c’era anche chi sceglieva l’Oriente senza muoversi da casa coma la pittura di Francesco Hayez o i libri di Salgari.
E ancora oltre, dalla Cina al Giappone, dove forse termina (o comincia) l’oriente. Il paese del Sol Levante. È il primo a svegliarsi nel pianeta e ad aprire i mercati finanziari e quelli del pesce. Lì l’Oriente tenta di occidentalizzarsi ma non viceversa. Se loro plagiano i nostri prodotti e scimmiottano i nostri artisti, noi ci limitiamo ad abbuffarci di sushi e zuppette improbabili ma non impariamo a inchinarci alla loro cultura. Non ci inchiniamo nemmeno. Gesto troppo umile e servile ma che simboleggia rispetto o scuse verso qualcuno. Orientarsi. O dis-orientarsi. Nell’etimo, “orientamento” è appunto il rivolgersi verso oriente. Geograficamente e non solo. Anche il mito di “Roma Caput Mundi” scricchiolò quando si capì che c’era un mondo culturalmente articolato, oltre la Persia, la Cina, la Mongolia. Per chi viaggia in estremo Oriente, specie quello economicamente più avanzato, l’attuale occidente europeo appare antico, congelato nella sua storia, ricco scrigno impolverato come un salone d’antan, decadente nella sua cultura bistrattata dai più. Difficile immaginare dalle nostre parti un centro di cultura orientale, frequentato da giovani occidentali che apprendano le basi del confucianesimo o del taoismo. Abbondano invece i centri di “orientamento”.
Le latitudini e longitudini fanno la differenza tra i popoli nelle loro identità, pur nel planetario bagno di omologazione. Ma se è vero che ognuno è meridionale a qualcun altro, a volte bastano pochi kilometri e poca fatica per sentirsi orientali in patria, in Salento. I più festaioli decidono di scorgere lì i primi raggi del sole del nuovo anno, inventandosi festival e “albe dei popoli”, dimenticando che quattro secoli prima a Otranto, non servì restare affacciati sui bastioni del castello per scorgere i turchi invasori. Troppo tardi. Gli idruntini guardavano e quelli sbarcavano e decapitavano. Il Palazzo Sticchi moresco, kitsch, insensato e il mare smeraldo lì sotto, appare come un ectoplasma nel ricordo sbiadito di “Nostra Signora dei Turchi”, esempio di cinema estremo. Oggi, in quel “non ricordo”, nell’accidioso ciabattare marino, migliaia di trippe tatuate sudano al ritmo di canzonacce a tutto volume da cui non si sfugge. E se pure si fugge, cercando l’Oriente in Thailandia, ritrovi le stesse cose da cui fuggire ancora. La Graceland non esiste. O forse si, nel Paese dei balocchi.