Interrail
di Giulia Reina
Non avendo vissuto gli anni Ottanta, non essendoci nemmeno nata, quando ho cominciato a pensare all’articolo sul viaggio per questo terzo numero, non sapevo minimamente di cosa avrei potuto scrivere.
L’idea, che mi permetto di definire geniale, mi è stata suggerita dal Prof. Varricchio, il quale, percependo la mia difficoltà oggettiva, mi ha guardata dritta negli occhi e ha bisbigliato una sola parola: Interrail.
Ma cos’è l’Interrail? È un biglietto ferroviario che permette di effettuare viaggi illimitati in treno ad un costo forfettario e per un determinato periodo di tempo.
Da lì mi si è aperto un mondo.
Ed è così che, indagando, ho scoperto che negli anni ’80 i ragazzi, adolescenti e non, amavano trascorrere le proprie vacanze attraversando l’Italia intera o addirittura l’Europa in treno. L’intero viaggio durava solitamente un mese e costava non più di trecentomila lire.
E così, con lo zaino in spalla, il sacco a pelo e l’incoscienza giovanile, i teenagers dell’epoca visitavano posti più o meno lontani, addormentandosi a Roma e svegliandosi a Berlino, facendo nuove amicizie, condividendo storie, amori, canzoni.
Il qualunquismo de “i tempi erano diversi” non è che una verità assoluta: oggi probabilmente nessun genitore permetterebbe al proprio figlio di viaggiare da solo in treno senza cellulare, per un mese, con l’idea che debba dormire in un Ostello della gioventù, mangiare quel che capita, perdersi certamente e, quindi, chiedere indicazioni a qualcuno e non a Google Maps, presumendo una fiducia nel prossimo quasi spaventosa.
Negli anni Ottanta invece la libertà di viaggiare, di incontrare gente, di fidarsi, significava imparare a stare al mondo.
Certo, poteva capitare di subire furti, perdere documenti, essere irreperibili per lunghi periodi, ma tutto questo faceva parte di un’esperienza di vita, divertente ma senza dubbio anche responsabilizzante. I piccoli viaggiatori si informavano, indagavano la storia e la cultura dei Paesi che visitavano, si immergevano completamente nella quotidianità locale, chiacchierando quando possibile o, altrimenti, esprimendosi a gesti con i loro coetanei del posto.
In poche parole, crescevano.
Come sempre suole accadere in un lungo viaggio, alle prime due o tre stazioni l’immaginazione resta ferma nel luogo di dove sei partito, e poi d’un tratto, col primo mattino incontrato per via, si volge verso la meta del viaggio e ormai costruisce là i castelli dell’avvenire. Lev Tolstoj