Difendere le radici
di Anna Spero
Ecco uno degli scorci più instagrammati degli ultimi anni.
Mi rivolgo a tutta la popolazione barese e ai pugliesi in generale che conoscono perfettamente questo luogo: Costa di Ripagnola. Quante volte, di ritorno dal mare, vi sarà capitato di fotografare il magico paesaggio della costa, situato a pochi chilometri da Polignano, e vi sarete preoccupati di pubblicare i vostri post con il classicissimo hastag #nonveniteinpuglia?
Vi rispondo io, infinite.
Non venite in Puglia è uno slogan che da anni promuove il turismo sul nostro territorio, cercando con ironia di sottolineare che, nonostante la poca considerazione che in passato ci è stata rivolta dalle politiche nazionali e nonostante i facili luoghi comuni di cui siamo vittime e che ci vedono tutt’oggi etichettati dall’epiteto “terroni”, la nostra regione resta un gioiello inestimabile e ricco di meraviglie da scoprire, caratterizzato proprio dalla sua autenticità e genuinità.
Una campagna che, grazie anche a tutti gli investimenti e le strategie pubblicitarie e ad interventi non solo privati ma anche pubblici, ha funzionato. Forse anche troppo.
La Puglia oramai è meta indiscussa delle vacanze dei più, stranieri provenienti da tutto il mondo, sceicchi che si sposano nelle masserie della Valle d’Itria, cantanti e attori ma anche connazionali e autoctoni.
Ma qual è il prezzo da pagare?
Fino a che punto la promozione del territorio ne vale il suo sfruttamento e la sua capitalizzazione?
Costa Ripagnola ne è un esempio lampante. Nelle ultime settimane si è acceso un intenso dibattito riguardo le sorti di questo tratto. Da anni esiste la proposta di realizzazione di un Parco naturalistico, mai approvata, il cui fine è quello di salvaguardare il territorio e al tempo stesso promuovere un turismo responsabile e rispettoso.
In contrapposizione a tale progetto vi è stata una proposta che invece è stata da subito autorizzata da parte del Comune di Polignano avente ad oggetto la realizzazione di un resort che vedrebbe i trulli trasformati in siti alberghieri turistici di lusso.
La vicenda ha da subito scatenato la protesta da parte di svariati comitati locali e liste civiche che si stanno battendo per impedirne la realizzazione e da cui ne derivano continui e frenetici aggiornamenti che potete seguire proprio sulla loro pagina facebook https://www.facebook.com/I-pastori-della-costa-Parco-Subito–369920226779617/
Ma tralasciando l’analisi della vicenda nel merito, il quesito che vorrei porre è un altro.
Pur essendo vero che il turismo negli ultimi anni ha rappresentato per la nostra regione una fonte di ricchezza, (seppur parziale per ragioni di precarietà occupazionale insiti nel sistema lavorativo italiano), fino a che punto siamo disposti a rinunciare ai nostri diritti?
Non si tratta solamente di tutela dell’ambiente e di protezione del territorio che restano comunque diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti dalla stessa Costituzione; si tratta anche del diritto di uso pubblico della costa.
Continuando a costruire resort o strutture alberghiere di lusso, per quanto possa da un lato rappresentare un vantaggio, dall’altro determina la realizzazione di un turismo settoriale aperto solo a chi si trovi nella condizione economica per poterselo permettere.
E tutti gli altri?
Perché dovrebbero esserci persone alle quali è impedita la possibilità di godere di un luogo? Perché un tratto di costa che è sempre stato un bene comune dovrebbe improvvisamente diventare un privilegio di pochi?
Le radici sono di tutti, la bellezza non dovrebbe essere privata e tutti dovremmo avere il diritto di goderne.
Lasciateci quello che è nostro.
Riprendiamoci quello che è nostro.
ph in copertina Anna Spero