di Dunia Elfarouk

In attesa di vederlo protagonista, dopo circa mezzo secolo, negli spazi di Palazzo Reale, a Milano, dal 25 settembre al 19 gennaio, non potevamo non dedicare alcune brevi considerazioni sulla straordinaria interpretazione anti-atomistica e leggendaria del mondo fisico quale specchio, ombra o, semplicemente, conseguenza fenomenica di una realtà superiore che prescinde i pregiudizi della mente di cui è stato autore.
De Chirico, pittore, scrittore, abile saggista, pensatore, fu uomo di illuminati grandiosi progetti che non lo coinvolsero tanto nella soluzione di problemi pratici, quanto in questioni dal respiro profondamente filosofico. Abbandonò, invero, ben presto, gli studi di legge per dedicarsi alla filosofia, strumento, per l’autore, di vera e propria revisione delle concezioni e delle letture sociali e reali predeterminate dalle norme civili, dalle arti e dai costumi nell’epoca ad egli contemporanea.
Non ha mai negato, come è noto, le forti infiltrazioni intellettuali che la visione metafisica dei grandi del passato hanno su di lui esercitato. A partire dai pensieri di Nietzsche e Schopenhauer.
Ma quel che più colpisce è la grande vicinanza, più o meno dichiarata, dell’artista nei confronti di una teorica marcatamente leibneziana, in cui la forza come elemento originario del mondo fisico scaturisce inevitabilmente da un principio meta-fisico in grado, esso stesso, di costituire fondamento e, nel contempo, principio creatore del mondo corporeo. Ombra o riflesso, quest’ultimo, di una realtà intangibile ideale non palpabile ma nemmeno utopistica poiché i luoghi del sogno anticipano la definizione dell’universo esteriore delle apparenze, non lo negano né lo rifuggono. La radice della realtà corporea così minuziosamente dettagliata nelle opere di De Chirico diviene, con ogni chiarezza, nient’altro che manifestazione di una realtà astratta, superiore, occulta e certamente inafferrabile dal debole sguardo della ragione.

“Tutto è spirito e vita perché tutto è forza”.

È inevitabile, pertanto, che la risoluzione della realtà così come è raffigurata nel gran teatro del mondo percepibile allo sguardo umano non sia altro che la rappresentazione di un arcano elemento costitutivo di natura spirituale.
È come se esistessero, nelle opere e nella filosofia dell’autore due realtà: una prima, quale aggregato di corpi materiali, ovverosia comprendente quel visibile palcoscenico di percezioni immediatamente coglibili dai cinque sensi; ed una seconda, quella dell’anima, che governa l’altro mondo visibile ed è la vera materia prima della realtà finita.
La dimensione spirituale, quindi, che è preesistente e preordinatice ogni manifestazione esteriore e tangibile è, ed eccoci, di nuovo, a riaccostare De Chirico alla sensibilità leibniziana, una sorta di sogno lucido ben orchestrato a cui seguono suggestioni che noi confondiamo con percezioni di realtà ma che altro non sono che il prolungamento fenomenico di una insondabile legge metafisica immanente. Una sorta di scrittura ideografica universale. L’unica incondizionatamente esistente, perché prescindente la realtà sensoriale fallibile sottoposta alle illusioni percettive dell’esperienza umana. La sola imperscrutabilmente assoluta dimensione del Vero perchè incalcolabile dalle aritmetiche, dagli inganni dei sensi e dall’inaffidabilità extra noumenica.
C’è anche qualcosa di profondamente eroico in De Chirico, in un senso omerico: in lui la narrazione lirica e onirica che racchiude l’ideale fantastico e metafisico non si perde e non decade, ma diventa riflessione esistenziale in grado di trasformarsi in vera e propria sapienza poetica profetica. Si pensi, ad esempio, ai suoi Orfeo, Minerva, Ettore e Andromaca e a tutti gli altri personaggi mitologici tratti dall’antichità classica e trasfigurati secondo codici provenienti da un subcosciente mistero che non è né propriamente mistico né propriamente surrealista. Compongono, essi, un grande poema in versi liberi guidati da una tensione visionaria soprannaturale.
Vi è alla radice del reale così come appare un’ispirazione inintelligibile che rende significante la storia visibile secondo un corso temporale soltanto convenzionale. Il sogno e la matrice non razionale che è origine di ogni cosa non comprendono le categorie del tempo, della logica, della gravità, poiché “esse est percepi”.
In quanto è proprio il mistero l’unico possibile mezzo rivelatore di una dimensione innominata perché formidabile sintesi di tutto ciò che scava oltre il senso, la fantasia e la ragione e che si esprime, con compiuta raffigurazione, nell’opera “Enigma di un pomeriggio di autunno”. “La composizione del dipinto si rivelò all’occhio della mia mente.”, disse l’autore. Appellandosi, senza vie di fuga linguistiche, ad una forza illuminante di provenienza superiore ed innominata.
Questo il vero spartiacque tra una pittura riproduttrice del reale e una pittura che strappa il velo di Maya per comunicare una verità sottintesa e che governa il percepibile, sovrastandolo.

“Chi ha fatto scender dal cielo la pioggia e poi con essa ha donato vita alla terra morta?”.

Domanda cui i mistici danno univoca risposta e che la sacralità profonda che avvolge e ispira De Chirico porta in direzione non lontana.
Non a caso, qualcuno disse: “Il progresso intellettuale e quello spirituale dipendono dal fatto che i filosofi si mantengano in costante movimento, non devono mai smettere di fare la spola tra il metodo e le argomentazioni degli scienziati e il romanticismo e la non sistematicità dei poeti, così da rivolgersi agli uni quando ne hanno abbastanza degli altri.”
Così appare che, smarginando dalla logica filosofica alla poesia, ben oltre e ben lungi dai corridoi angusti senza via d’uscita percorsi dall’intellettuale medio, De Chirico elabori ma non riveli il suo segreto cammino lungo traiettorie inaccessibili, poiché consapevole che quel mistero di cui è custode porta con sè conseguenze ‘sì forti che, se comprese, potrebbero sconvolgere l’umano.

 

Palazzo Reale a Milano, sede della mostra dedicata a Giorgio De Chirico

La personalità intellettuale che emerge dall’opera artistica di De Chirico risulta segmentata, seppur senza fratture, in fasi articolate (dai paesaggi metafisici, ai ritratti, ai famosissimi manichini coloniali) così da mettere in atto tutte le forze dell’intelligenza umana nella sequenza di ben distinti capitoli evolutivi della coscienza.
Architettura, tecnica, paesaggio, individuo singolo e collettivo vengono trasformati entro una sembianza di miraggio che possiede però la carica potente della più lungimirante mescolanza tra aldiqua e aldisopra. Per De Chirico l’unico presente/futuro filosoficamente possibile.

 

In foto, una delle opere in mostra a Milano: Giorgio de Chirico, L’enigma di una giornata, 1914, Olio su tela, Museu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo, Brazil

https://palazzorealemilano.it/mostre/de-chirico

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