di Dunia Elfarouk

Secondo una certa diffusa concezione, non ancora superata, l’arte avrebbe lo scopo di distogliere dal mal di vivere, di offrire all’individuo e al sociale un abbraccio consolatore rispetto alle umane afflizioni. Questo è quanto sosteneva, ad esempio, il noto pensatore illuminista milanese

Pietro Verri: le arti altro non sono che strumento del bello, principio di evasione e di intrattenimento rispetto alle desolazioni della vita.

Di tutt’altra specie le considerazioni che derivano dall’incontro con le rappresentazioni del reale così come crudamente appare nelle opere di Mimmo Jodice. Si tratta di un’indagine combinata – attiva e riflessiva – in ordine alle problematiche dell’esistere sviluppata attraverso l’esplorazione delle zone d’ombra più decadenti e grottesche, più contraddittorie e drammatiche, più meravigliose e squallide dell’umano. La narrazione che ne deriva è inquietante e mirabilmente poetica: il ritratto della crisi economica che si scaglia sul volto della gente, per le strade e per i vicoli, la malattia mentale colta negli sguardi e nella disperazione dei pazienti psichiatrici, i fallimenti dell’uomo e le sue possibilità di riscatto in una città tanto energica quanto sofferente qual è Napoli, luogo d’origine dell’autore.
Il degrado e la meraviglia possono convivere in un medesimo scatto strappato, senza la necessità di fuggire dinanzi alle angosce del vivere, ci insegna il Maestro.
L’arte appare, in tal modo, la più crudele e sublime rappresentazione del vero, tutt’altro che evasione rispetto alle disgrazie e alle miserie dell’esistenza. Tutt’altro che ricreazione, diversione e stordimento di sé nell’oblio dalla realtà.
Nella fotografia indagatrice il reale, nella sua irruenza visiva più manifesta, Jodice raccoglie, racconta ed esalta l’in-sostenibilità dell’esistenza, il dramma del presente, facendo, in qualche modo, suo il motto pascaliano:

“Non viviamo mai, ma speriamo di vivere e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali.”

Il Maestro, invero, non solo coglie il presente nelle più dolorose e veritiere espressioni dell’uomo ripiegato nella angosciosa ricerca di se stesso, bensì si spinge ben oltre: valica l’ombra per stracciarla sia nella figura retorica del suo personale lirismo, sia, fisicamente, nella lacerazione dei margini materiali delle sue fotografie – che risultano così letteralmente smembrati. È come se l’autore, quindi, ci suggerisse che è nell’oscurità carica di insidie, di lacerazioni e dei più profondi dubbi nonché nell’accettazione dell’afflizione dello spirito che scaturiscono le risposte. Poiché

“l’ordine del pensiero esige che si cominci da sé”.

La conversazione poetica in bianco e nero tra l’anima indagatrice di Jodice e la realtà come indomabile gli appare nei primi decenni della sua attività artistica è visitabile presso Vistamarestudio, a Milano. Fino al 30 novembre 2019.

 

PH: Mimmo Jodice, I gigli di Nola, 1971

Vistamare-Vistamarestudio-Pescara-Milano

https://www.vistamarestudio.com/

 

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