PH credit: Sidival Fila senza titolo 436 dettaglio

 

di Dunia Elfarouk

È certamente una questione di latitudini interiori, di profondità astratte da scavare con il cesello di una forza dello spirito, di una sacralità che conferisce nuova luce, nuova linea e nuovo scopo, altrimenti celati, alla materia, quella che riguarda l’arte di Sidival Fila, la cui mostra romana si è appena conclusa a Palazzo Merulana, lo scorso 5 ottobre. Un’attività che risponde ad un’ispirazione antica e nuova, quindi eterna: l’ascesi per epurare le forme – quelle dell’anima nonché quelle manifeste e riproduttive il mondo interiore stesso – e che ha il potere di imporsi esteticamente in una soluzione astratta assoluta.
Le leggi dello spirito, le uniche insuperabilmente in vigore per un poeta dell’astrattismo e per un asceta francescano quale è Fila, divengono il telaio di una composizione mistica non dogmatica e costituente essenza divina e illimitata.
Il Maestro narra della sintesi che tali regole immanenti raffigurano: l’incrocio tra due percorsi, l’uno relativo all’incontro con il Divino, l’altro relativo all’incontro rivelatore con l’arte. Due percorsi non simbiotici ma inevitabilmente intrecciati. Due linguaggi coerenti rivolti ad una dimensione infinita, increata ed immortale.
L’autore si rivolge alla sostanzialità della materia per rinnovarne la vitalità creatrice, poiché ciò che conta è che, come egli stesso ha in più occasioni affermato, la luce trovi estensione visiva a partire da un prisma originario invisibile che ha essenza illimitata e che sulla sostanza materiale trova supporto e ivi si rigenera. Secondo l’artista, invero, la principale proprietà che l’opera deve possedere è la capacità di riprodurre la luminosità.
C’è qualcosa di profondamente francescano nella pazienza creativa vicina al senso della meditazione che l’autore adopera nell’infaticabile minuzioso lavoro con cui cuce le sue trame su antichi tessuti, per dar luogo ad un’arte concettuale che non ha la pretesa di riprodurre un mondo di significati bensì ha lo scopo di attribuire nuova vita al significante.
La metafora del riutilizzo di materiali altrimenti scartati sottintende lo sforzo di recupero delle energie che tuttora risiedono nell’essenza attuale e potenziale dell’oggetto e che vengono, attraverso l’attività dell’artista, ricomposte lungo una nuova curvatura estetica e simbolica. Così i suoi tessuti accuratamente lavorati riproducono il rigore e la disciplina della preghiera ascetica, ma anche la sua articolata tensione alla Trascendenza e ad un fine non soltanto estetico di armonia.
La ricerca di Fila, pertanto, si esprime in ordine a principi ispiratori metafisici ma anche in ordine alle possibilità di evoluzione dell’oggetto fisico che, modellato dall’intervento dell’uomo, risulta manifestazione esso stesso di una forza originaria immortale e incorporea che nell’umano trova possibilità di declinazione.
Sidival Fila perviene alla spiritualità come strumento orientativo e principio-chiave di un’intera poetica e filosofia di vita, dopo aver attraversato esperienze umane e luoghi geografici diversi: dal suo Brasile all’Italia, in particolare la meraviglia artistica della capitale, secondo un criterio illuminante l’attività religiosa e quella creativa in senso stretto per il quale, per riprendere un pensiero caro a Spinoza: “Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere concepita”. (Etica, I, prop. 15). Come se le manifestazioni creative di Fila altro non fossero che la risposta visiva ad un’ispirazione unica vitale e dalle illimitate estrinsecazioni.

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