Il sogno del ‘900
di Giuseppe Addona
Docente di Filosofia ed Estetica
Il senso di questo apparente “collage” risiede nella sintesi del grande Sogno vissuto dall’Arte nel Novecento, nel Secolo Breve (Hobsbawm), mentre il Mondo andava a fuoco, travolto da rivoluzioni e da guerre mondiali, e laTecnica portava l’uomo dalle carrozze alla luna in soli 69 anni !!
Il quadro simboleggia la capacità dell’arte di astrarsi dalla realtà e di trasformare la realtà in sogno e il sogno artistico in realtà.
La scena “reale” infatti è costituita dalla dimensione metafisica della piazza di De Chirico, nella cui dimensione onirica si collocano le citazioni di Dalì, il cui orologio piegato esprime la deformazione del tempo, tipica del sogno; i volti dormienti di Tamara de Lempicka e della donna di Klimt, come pure la testa, reclinata, dell’“amante dell’ingegnere” di Carrà, che sottolineano la proiezione dell’artista nella dimensione extrasensoriale, con una presenza fisica ma una lontananza spirituale.
Le muse inquietanti di De Chirico rafforzano la meta-fisicità della scena, così come la natura morta di Morandi, posta in primo piano sulla destra, cristallizza la quotidianità prosaica dell’esistenza.
Il collocamento nel cielo della citazione, rivisitata, della Guernica di Picasso, esprime il rovesciamento logico dell’Arte, ponendo nella dimensione tipica del sogno – il cielo appunto – la realtà più tragica, quella della guerra, che in questo secolo ha compiuto le massime distruzioni sino ad oggi avvenute.
L’Arte, cioè, trasfigura la realtà inaccettabile, e la fa diventare sogno, mentre pone al suo posto il sogno, che nella visione dell’artista diventa la realtà.
Ed infatti nel cielo, accanto alle figure tragiche di Guernica si staglia anche l’eterea pittrice di Chagall.
Al centro della composizione, le due figure centrali, apparentemente contrastanti, ed invece fra loro connesse, racchiudono il messaggio dell’Opera.
La donna di Dudovich, in eleganti abiti rosso intenso, come nel famoso manifesto creato dall’artista per la pellicceria Mele, che si allontana, piccola, verso l’orizzonte, tentando di resistere al vento dell’innovazione, rappresenta il mondo analogico, borghese, che scompare – così come nella nostalgica autobiografia di Stefan Zweig, “Die Welt von Gestern. Erinnerungen eines Europäers” (Il mondo di Ieri. Ricordi di un Europeo), che Pica ha letto e citato in altre sue opere.
Irrompe invece in campo, nella piazza metafisica, portato dalla mano di Escher, nella sfera che rende il suo contenuto avulso e distante dalla piazza, l’uomo del terzo millennio: l’uomo senza volto di Magritte, che rappresenta la anonima globalizzazione dell’individuo, e la sua disumanizzazione generata dalla società digitale.
Utilizzando le immagini di grandissimi artisti del Novecento, l’Autore è così riuscito a sintetizzare i passaggi concettuali della grande rivoluzione socioculturale del Novecento, ed a porre anche in luce le molte ombre che il Futuro ci prospetta.
Al di là di tanto, l’opera proietta soprattutto il suo messaggio senza aspettare l’intervento delle categorie logiche e superando i “pregiudizi” che prepotentemente, diversamente si impongono. le figure agli angoli non inseguono quella centrale che appare tuttavia stagliarsi per affascinare. L’intensità della proposta, compenetrata dall’armonia che subito prende quota in una elevazione che non si presenta comunque come un tendere all’infinito, quando piuttosto alla denuncia della situazione reale, benché traslata in un ambito completamente metafisico, non soccombe alla drammaticità in atto. Le celebri opere sembrano fare da sfondo alla comunicazione che l’artista si è prefissato.
Colpisce soprattutto il fatto che, pur operando l’artista con immagini di opere famosissime, non è il fatto della loro riproduzione a prevalere (il che svilirebbe il significato dell’opera), ma emerge invece con chiarezza ed autonomia il messaggio che l’opera vuole comunicare.
Le figure, prese a prestito dalle creazioni di grandissimi artisti, sono inserite al fine di rappresentare il silenzio e l’isolamento dell’individuo nella società di massa, espresso dall’irrompere dell’uomo dal volto ignoto e muto di Magritte, per giunta rinchiuso all’interno di una sfera di vetro: il massimo dell’isolamento verso la realtà, che l’uomo intravede, ma con cui non può comunicare, avvolto nella sfera di cristallo della dimensione digitale, anch’essa astratta e irreale.
Proprio il silenzio dell’uomo nella sfera sintetizza il messaggio dell’opera. Il viso senza volto, “anonimo”, serve al pittore per accendere l’attenzione su ciò che oggi il mondo tende a spegnere, e cioè l’individualità, la particolarità insopprimibile dell’Essere.
PH: Sogno del Novecento di Giorgio Pica