Inventarsi un teatro nella pandemia
di Francesco Gravino
autore, attore, regista
La pandemia che in questo periodo ci affligge, minacciando le nostre vite, ci pone di fronte ad un grande dilemma: il teatro serve ancora? A causa delle restrizioni anti-covid, il teatro è stremato e ,infermo, langue in una sorta di rianimazione forzata. Manca lo spettacolo perché tutti i teatri sono stati chiusi e gli attori sono a casa.
“Senza teatro il mondo è cieco”
Allora, quale sarà il suo futuro?
Durante il periodo del confinamento, la compagnia Foyer ’97 teatro di San Severo (Fg), era alle prese con le prove dello spettacolo “La rivolta delle donne”.
Dover rispettare le costrizioni non è stato facile. Sembrava di vivere una situazione di emergenza simile ad una guerra mondiale.
Costretti ad annullare in breve tempo due laboratori di teatro per adulti, uno per bambini ed uno con ragazzi disabili e a rinunciare a diversi spettacoli da mettere in scena, ci siamo dovuti fermare.
Noi, come tutti gli addetti al settore.
Ci siamo chiesti più volte se fosse possibile continuare a fare teatro senza del pubblico…
E ancora, ci siamo interrogati su un altro aspetto dal quale non è stato possibile prescindere:
“Un attore ha veramente bisogno di fare qualcosa “a favore” del pubblico? Davvero non può farne a meno ?”
Le risposte possono essere tante e diverse.
Immaginiamo il teatro come la montagna che non va da Maometto.
Il primo è fermo a leccarsi le ferite mentre noi potremmo approfittare di questo momento per modificare il nostro punto di vista su alcuni aspetti quali gli scambi, i bandi, i festival a circuito chiuso.
Occorre esperire nuove strategie, inventare un nuovo sistema, questo è un dato di fatto.
La nostra compagnia ha deciso già da tempo di portare il teatro all’aperto, per strada, negli ospedali e nelle scuole. Durante il lockdown “Il teatro al telefono”, è stato un esperimento che ha permesso agli attori della compagnia “Foyer ’97 teatro” di stabilire un contatto con il pubblico interessato ad ascoltare racconti teatrali al telefono.
Ci siamo affidati allo streaming, per cercare di “non perdere il contatto con il pubblico”, sebbene il contatto con il pubblico si fosse, in un certo senso, già perso, visto che un atto teatrale ha ragione di essere considerato tale solo se si agisce in presenza.
“Inutile dirlo, il teatro ha bisogno proprio della presenza fisica poiché tutto accade qui e ora”
Un vero spettacolo teatrale in streaming non potrà mai esistere davvero perché sulla scena, anche quando non parla, l‘attore non scompare mai dagli occhi dello spettatore: questo consente di creare una vera comunione tra attore e spettatore, una sorta di inspiegabile e rarefatta magia che li lega reciprocamente.
Il teatro in streaming, insomma, per citare Gabriele Lavia, “È come fare sesso al telefono; ci si può eccitare, ma non si può amare un corpo con i suoi limiti”. In altre parole, non si verifica, all’alzarsi del sipario, quella combustione energetica tra attori e spettatori.
“Eppure, l’ansia di non scomparire ha dato l’assalto frenetico allo streaming”
Si è visto, in realtà, che non esiste una strategia per il teatro, e questo induce a pensare che non siamo rilevanti per il sistema come lui non lo è per noi: siamo ai margini dello stesso.
Con una punta di amarezza bisogna ammettere che questo difficile momento non è propizio per l’arte, purtroppo. Molti sono inclini a pensare che forse sarebbe più opportuno cambiare professione e poi, tra qualche anno, tornare con spirito rinnovato e propositivo.
Piuttosto che metterci in mostra a tutti i costi, potremmo provare ad utilizzare la tattica dell’”immobilità silente”.
Daniel Lumera, scrittore e conferenziere, spiega la differenza tra “stare fermi” ed “essere fermi”: nello stare fermi aleggia come il sospetto di un’imposizione: “Stai fermo”, tipico comando che si impone ai bambini agitati, “Sii fermo”, invece, si riferisce ad un’altra cosa. Essere fermi esprime una possibilità di andare al fondo di questa immobilità, di esplorarla per trovare un movimento dell’interiorità. Forse questo è il momento favorevole per cominciare a farlo.
“Risulta difficile, in questo momento, immaginare le sorti del teatro”
Per quanto sia forte la sensazione che il nostro futuro ci sia stato rubato, noi continuiamo a sperare che questa fase passi in fretta e tutto ritorni come prima. Tra i progetti c‘è quello di lavorare per mettere in scena il capolavoro di Calderon de la Barca “La vita è sogno”, in cui l’intera esistenza è sogno, minacciato dall‘ininterrotto ed inesorabile fluire del tempo che rischia di fagocitarlo…
Da spettatrice apprezzo la riflessione. Trovo che il teatro abbia bisogno degli spettatori e l’attore “agisca” nutrendosi di presenza. D’altro canto cerchiamo di usare questo tempo che essendo fermi e non stando fermi. Buon lavoro.
Il teatro è lo specchio dell’anima…abbiamo bisogno di lui in qualsiasi forma!
Spero che ritornerà presto tutto alla normalità. In bocca al lupo…