Terza età e mondo classico
di Alice Costantino
Francesca De Meo
Martina Di Maria
Valentina Lo Prete
studentesse dell’I.S.I.S.S. “Fiani-Leccisotti”
Indirizzo Classico di Torremaggiore (FG)
“La vita è come una commedia:
non importa quanto è lunga,
ma come è recitata”
Seneca
Viviamo in un’epoca in cui la speranza di vita è notevolmente cresciuta e la popolazione anziana ha surclassato quella giovanile. Nel tempo è cambiato anche il concetto di vecchiaia. Se, da un lato la si fugge, la si teme, la si guarda con ansia e angoscia in quanto decadimento fisico e solitudine, dall’altro, la vecchiaia diventa una sfida, un’occasione per prendersi cura di sé e per continuare a conoscere…
Così intesa, oggi, la maturità diventa un’età più libera, un’opportunità per vivere attivamente, nonostante il trascorrere degli anni. La maggiore disponibilità di tempo libero si traduce anche nella possibilità di dedicarsi maggiormente ai membri della propria famiglia, curando quelle relazioni che danno benessere e felicità.
“Ma è stato sempre così?”
Per gli antichi greci la vecchiaia è oggetto di un alternarsi di vari sentimenti: dal rispetto all’ indifferenza, dalla derisione e dallo scherno alla venerazione. Ora è simbolo di esperienza, saggezza, autorità, ora è la fine dei piaceri e di ogni speranza…
Soprattutto nella Grecia arcaica, il γέρων (“gheron”, anziano) rappresentava la saggezza, ottenuta in cambio della vecchiaia. L’età avanzata, infatti, portava diversi vantaggi, tra cui riverenza e rispetto da parte di tutti e, talvolta, dei doni da parte dei più giovani.
Nell’Iliade, il poema della guerra per antonomasia, sono presenti figure di grande saggezza e umanità come quelle di Priamo, re di Troia e Nestore, il più anziano tra gli eroi greci, re di Pilo.
“Entrambi vengono rappresentati come uomini accorti e degni di ammirazione,
le cui parole “ più dolci del miele” sono considerate una melodia,
non tanto per la voce, ormai rauca e stridula,
ma per la logica, l’armonia e la forza persuasiva..”
L’immagine del vecchio Priamo nell’ultimo libro del poema è sicuramente tra le più toccanti e commoventi. Da un lato, l’anziano padre pieno di coraggio, in ginocchio, penitente, chiede il corpo del figlio, dall’altro il giovane Achille, il più forte tra gli eroi greci, lo guarda senza parlare, affascinato dal coraggio, dalla sincerità, dalla verità delle parole del vecchio re.
Achille vede nel nobile volto e nella barba bianca di Priamo suo padre, Priamo vede in Achille suo figlio. Si stringono in un abbraccio e piangono…
Allo stesso modo piange nel finale dell’Odissea anche il vecchio Laerte, imbruttito dalla fatica e dalla solitudine, quando rivede il figlio Odisseo.
Spostando lo sguardo dal mondo epico a quello lirico, la visione della vecchiaia cambia.
I poeti tengono in grande considerazione la bellezza, la giovinezza e i piaceri che la contraddistinguono e rifuggono le chiome bianche e gli “acciacchi” della vecchiaia, apostrofata spesso come età triste e deforme.
Mimnermo (VII sec. a.C.), il poeta dell’amore e del rimpianto per la perduta giovinezza, la descrive come “un male funesto che dio ha dato all’uomo” che non può più godere dei doni di Afrodite, in quanto l’amore, con l’arrivo della senilità, viene ostacolato.
A una vita senza piaceri il poeta preferisce addirittura la morte.
A Mimnermo che si augura di vivere fino a sessanta anni “ lontano da morbi e da penosi affanni”, risponde Solone (VII sec. a.C.) che, antiteticamente, si augura di vivere fino a ottant’ anni.
“ Invecchio imparando sempre nuove cose”
Simbolo di equilibrio, moderazione e sapienza (non a caso inserito nel canone dei Sette Sapienti formatosi nel VI sec. a. C.) il poeta, primo e autorevole legislatore di Atene, afferma, quindi, che più lunga è la vita, maggiori sono le cose apprese e imparate. La sana risposta al pessimismo di Mimnermo, oltre che essere molto attuale, è espressione di una concezione ottimistica della vita: è vero, il vivere degli uomini è duro e travagliato, ma può essere anche nobile e significativo se speso per il bene della comunità. Altrove, invece, il tema della vecchiaia è declinato con accenti diversi: è il caso della poetessa Saffo (VII-VI secolo a.C.), la quale, con il rimpianto della giovinezza perduta ma anche con l’orgoglio di chi è riuscito a vivere in nome della raffinatezza, descrive i cambiamenti che l’avanzare degli anni ha determinato sul suo corpo:
“A me il corpo un tempo tenero ormai la vecchiaia
ha colpito, i capelli da neri sono diventati bianchi,
il mio animo si è fatto pesante, non reggono le ginocchia
che prima danzavano leggere come quelle dei cerbiatti”
(fr.58 V., vv.3-6)
E presso gli antichi romani come era percepita e vissuta la maturità?
In alcuni testi teatrali, come le commedie di Plauto (255-184 a.C.), gli anziani vengono descritti come “pazzi, ostinati, flaccidi, collerici e rabbiosi”, talvolta continuamente derisi dai figli, ridicolizzati per le loro debolezze dalle mogli, spesso inopportunamente libidinosi.
Un ulteriore difetto attribuito da Plauto alla vecchiaia è l’avarizia, con la conseguente paura di essere truffati dalla propria famiglia.
Diversamente dalle commedie plautine, in quelle di Terenzio (190-159 a.C.) troviamo un’altra visione e prospettiva: gli anziani sono più indulgenti, comprensivi e tolleranti e, di conseguenza, i giovani sono più rispettosi.
La vecchiaia è, tuttavia , ritenuta una malattia. Nella commedia intitolata Phormio, il vecchio Cremete, a cui viene chiesto come mai si è trattenuto tanto tempo a Lesbo, così risponde al suo interlocutore:
“…mi ha trattenuto una malattia” e aggiunge“…mi chiedi quale malattia? La vecchiaia stessa è una malattia”
Nell’antica Roma, d’altro canto, il potere e il prestigio sociale accompagna nel tempo i senes (“anziani”) ed essi, in qualità di appartenenti a famiglie aristocratiche, continuano a ricoprire cariche importanti, come nel caso di Catone il Censore (chiamato anche Catone il Vecchio per aver superato di molto l’età media massima di vita a Roma), il quale partecipò attivamente alla vita politica fino alla morte, sopraggiunta all’età di ottantacinque anni.
Anche Cicerone (106-43 a.C.) ci offre una personale riflessione sulla vecchiaia in una delle sue opere etico-filosofiche, il Cato maior de senectute, un dialogo tra Catone il Censore, Gaio Lelio e Publio Cornelio Scipione Emiliano. Si tratta di una vera e propria apologia della vecchiaia: attraverso la celebrazione della saggezza e dei vantaggi dell’età avanzata, del ruolo della cultura (Catone impara il greco quando è ormai avanti negli anni e ne rivendica l’apprendimento) contraddice le teorie secondo le quali essere vecchi è una maledizione. Consiglia, inoltre, con toni assolutamente moderni, di tenere sempre allenata la mente, in quanto l’assenza di memoria è simbolo di decadimento fisico: al contrario, essa consente di conservare quella lucidità necessaria affinché l’individuo abbia ancora un ruolo attivo nella società.
“La leggerezza è propria dell’età che sorge, la saggezza dell’età che tramonta”
Per il grande oratore, la salute e il benessere sono la conseguenza di tre sostanziali atteggiamenti, riconducibili al peso attribuito alla cultura, allo stile di vita perseguito, alla sostituzione, infine, dei piaceri pulsionali della giovinezza con piaceri sobri e riflessivi…
Un ultimo sguardo, non meno interessante, merita Seneca (4 a.C.-75 d.C.), il quale, guardando all’anziano dal punto di vista di un anziano, ovvero di se stesso ormai vicino alla settantina, ribadisce, anch’egli, l’importanza di avere cura di sé e del proprio corpo, come segno di amor proprio ma anche verso le persone care.
La vecchiaia, per Seneca, se ben accudita, è positiva. Una più tranquilla cura di sé e un più coraggioso uso della vita la contraddistinguono. Più precisamente, nei sui scritti filosofici sull’argomento, il De Brevitate Vitae e le Epistulae ad Lucilium, il problema non è ravvisato tanto nella vecchiaia, bensì, nel come la si vive e la si raggiunge…
In qualsiasi condizione di salute, l’uomo, per quanto indebolito nel corpo, deve imparare a non esserlo nello spirito.
“Osservazioni quanto mai attuali…
Maturità e vecchiaia acquistano, chiaramente,
un nuovo valore, impreziosito, in questa fase della vita,
dalla saggezza e dall’ esperienza,
considerate faro di riferimento per la società e la famiglia”