Quando la prospettiva fa la differenza
di Elia Alberta, Francesca Lariccia
Iolanda Lombardi ,Camilla Marinelli
Marianna Meglioli
studentesse dell’I.S.I.S.S. “Fiani-Leccisotti”
Indirizzo Classico di Torremaggiore (FG)
“Lasciateci migliorare la vita
attraverso la scienza e l’arte”
Virgilio
La terza età o, che dir si voglia, senilità, indica l’ultima parte del ciclo vitale di ogni individuo.
Non esiste una definizione ben precisa di questa fase della vita in quanto non in tutte le società ha lo stesso significato. Solitamente ci si riferisce al momento successivo ai 65 anni, età che, spesso , coincide con la fine dell’attività lavorativa e, quindi, con il pensionamento.
Ci stiamo riferendo, dunque, ai nostri nonni, oggigiorno, non più soltanto vittime del “Famelico tempo” (“Devouring Time…”) al quale, nel celebre sonetto XIX William Shakespeare chiede di “… non incidere la bella fronte dell’amata con le sue ore…” e “ …di non tracciare linee con la penna antica…”
Il grande poeta e drammaturgo inglese del XIX secolo esprime, in questi celebri versi, la sua riflessione sul tempo, definito “famelico” perché in grado di consumare l’uomo fino all’osso e di bruciare, addirittura, la “longeva fenice”: la sua forza travolgente segna, con le rughe, l’uomo nel volto, lasciando traccia del suo inesorabile fluire.
Fortunatamente negli ultimi anni, grazie ai progressi della scienza, la terza età è sempre più “corta” e, a parere non solo di molti esperti, si vive di più.
E’ pur vero che in questo periodo della vita compaiono una serie di problemi come l’incanutimento dei capelli, dolori reumatici, perdita dell’elasticità della pelle che la rende ruvida e secca, problemi all’udito, riduzione della massa muscolare, osteoporosi, malattie cardiovascolari e nei casi più estremi la sindrome di Parkinson e di Alzheimer.
Eppure oggi la medicina è in grado , nella maggior parte dei casi, di migliorare le condizioni di salute e di far fronte a diverse patologie attraverso cure specifiche e, ancor più, attraverso la prevenzione.
Il miglioramento del sistema sanitario e il contributo di una scienza che si occupa degli anziani, ovvero la geriatria, hanno, di fatto, reso possibile la riduzione dei sintomi e la cura di patologie come colesterolo, diabete, ipertensione, problemi cardiovascolari.
“In altri casi, invece, come per l’ osteoporosi, il Parkinson e l’Alzheimer, in quanto non curabili, si punta a contenere i sintomi”
L’osteoporosi è una malattia sistemica dell’apparato scheletrico: causata dall’invecchiamento dell’organismo, comporta una perdita della massa ossea che determina un aumento della fragilità con conseguente aumento del rischio di fratture, soprattutto a carico di vertebre, femore e polso. Solitamente l’osteoporosi colpisce per l’80% le donne ed è considerata oggi una delle emergenze sanitarie più gravi: l’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione rende, inoltre, questa malattia molto più comune che nel passato.
Come per ogni malattia “prevenire è meglio che curare”…
L’osteoporosi può essere prevenuta grazie a una dieta corretta e una regolare attività fisica in modo tale da ridurre significativamente i rischi di fratture ossee.
“Avere uno stile di vita attivo, evitare il sovrappeso, assumere adeguate quantità di calcio e vitamina D, diminuire il consumo di sale (che aumenta l’eliminazione del calcio con l’urina), infine, non fumare ed evitare o limitare il consumo di alcol, rappresentano le “cinque mosse” per mantenere le ossa in salute”
Con l’avanzare dell’età subentra anche il rischio di malattie neurologiche come demenza senile e paralisi agitante, più comunemente note come Alzheimer e Parkinson… vi siete mai chiesti perché si chiamano così e perché preoccupano molto i medici?
Il morbo di Parkinson fu descritto per la prima volta da James Parkinson in un libretto intitolato Trattato sulla paralisi agitante pubblicato nel 1817; si tratta di un disturbo del sistema nervoso centrale ed è caratterizzato principalmente da degenerazione di alcune cellule nervose situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera. Queste cellule producono un neurotrasmettitore, la dopamina, responsabile dell’attivazione di un circuito che controlla il movimento. La riduzione della dopamina causa la perdita dei movimenti muscolari. I sintomi tipici sono tremore alla mano, tronco inclinato in avanti e ginocchia e caviglie leggermente piegate. La degenerazione della malattia blocca la deambulazione e rende il paziente quasi immobile. A differenza dell’osteoporosi questa patologia colpisce soprattutto uomini; non esistono, invece, anche in questo caso, farmaci in grado di bloccare la malattia ma è possibile migliorare la gestione dei sintomi. Il trattamento di scelta è rappresentato della levodopa (il precursore del neurotrasmettitore dopamina): si tratta di farmaci studiati per aumentare il livello di dopamina che raggiunge il cervello, oppure per stimolare le aree cerebrali in cui agisce la dopamina.
Sono in sperimentazione, però, approcci di terapia genica e con cellule staminali.
Per quanto riguarda l’Alzheimer, questa patologia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che, per la prima volta nel 1907, ne descrisse i sintomi; è dovuta alla degenerazione dei neuroni, con precipitazioni di proteine al loro interno (grovigli neurofibrillari) e all’esterno (con la formazione di placche di una particolare proteina, chiamata beta amiloide); è anche accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina (un neurotrasmettitore) nel cervello.
Le cause non sono ancora note: i fattori genetici rivestono un ruolo importante ma fattori ambientali, sostanze tossiche, traumi cranici e la mancanza di un’appropriata stimolazione cognitiva possono giocare un ruolo importante.
L’andamento della malattia è piuttosto lento, inizia con la perdita della memoria a breve termine, seguita dalla difficoltà a orientarsi e riconoscere il luogo in cui ci si trova, incapacità di ricordare eventi passati e compiere ragionamenti astratti, finché il paziente non è più in grado di camminare, mangiare o parlare.
Ad essere colpiti sono soprattutto le persone dopo i 60 anni, sebbene non manchino esordi precoci intorno ai 50 anni di vita, e , sfortunatamente, come per il Parkinson, non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia: anche in questo caso, i farmaci attualmente disponibili (gli inibitori dell’acetilcolinesterasi) puntano a contenere o a migliorare i sintomi, rallentando temporaneamente la progressione di questa grave patologia che conduce alla morte neuronale.
La gestione di patologie come l’ Alzheimer e il Parkinson, complessa non solo per i pazienti ma anche per i loro familiari e per chi di loro si prende cura, non è affatto semplice, al contrario, impegnativa e, talvolta, frustrante, per il senso di impossibilità a far fronte alle situazioni e ai sintomi.
“Ci siamo, pertanto, posti la domanda di come gli antichi affrontassero o curassero le malattie legate alla senilità dato che la scienza solo negli ultimi secoli ha svelato i misteri della genetica umana, rintracciandone, se non la cura, almeno le cause…”
Sembra incredibile ma possiamo rintracciare una risposta direttamente dal poeta cieco, celebre cantore del mondo greco, da… Omero!
Nell’ Odissea Omero ci chiarisce uno dei tanti aspetti legati alla vita quotidiana greca…
Sembra che per i greci la demenza senile fosse all’ordine del giorno.
Invece di combattere la perdita di memoria, nel tentativo di mantenere i propri cari nel presente, i greci lasciavano che essi “vagassero” nel loro passato e si interrogassero su di esso…
Un esempio significativo è Laerte, padre di Odisseo, che preferisce trascorrere le sue giornate nella stalla e nei giardini piuttosto che nel palazzo poiché qui rivive i ricordi confortevoli e piacevoli della sua infanzia.
Altrettanto significativo è il caso di Telemaco, che, ritornato da un breve viaggio, decide di far avvertire il nonno, ovvero Laerte, del suo ritorno, preoccupato che avrebbe potuto confonderlo con il padre Odisseo!
Questa modalità se, da un lato, ci lascia perplessi (se paragonata all’impegno della ricerca scientifica del 21° secolo di trovare cure definitive e rimedi), d’altro canto, sembra suggerire, pur nell’attesa assolutamente legittima di una soluzione, un approccio diverso: smettere di cercare di rallentare, a tutti i costi la discesa, e apprezzare che il viaggio dei nostri cari non è finito, ma si è rivolto indietro, dentro il loro passato…
E in questa ultima fase hanno bisogno, soprattutto, di non essere soli.
“Sembra strano ma è tutta una questione di …prospettiva!”