Nuove paure pandemiche
di Anna Losurdo
avvocata
“Solo nel momento in cui facciamo pace con l’incertezza,
la gioia prende il posto della paura”
Chiara Montanari
Da oltre un anno tutte le nostre relazioni si sono trasferite sulle piattaforme.
Avremo paura di tornare in presenza nella nostra vita?
Com’era la nostra vita prima del Covid?
Come attueremo, in presenza, il privilegio acquisito di metterci off line?
Oggi, alla paura che questa situazione non finisca mai si contrappone la felicità di riscoprire le relazioni fatte da rapporti umani e persone reali.
Saremo ancora capaci di socializzare? Ci ricorderemo come si comincia? O penseremo che conoscere gente nuova sia pericoloso?
Costretti tra la speranza del ritorno alla normalità e l’ottimismo del ”saremo persone migliori”, solo attraverso la memoria di ciò che si è stati possiamo davvero crescere e ambire a un futuro di speranza e di rinascita.
Sopravvalutiamo sempre la nostra capacità di fare previsioni, mentre immaginare il futuro è una abilità che la nostra specie, con il cervello che funziona ancora in base a meccanismi “preistorici”, ha sviluppato di recente.
“Ciò è tanto più vero per le previsioni affettive. Scompensati dal punto di vista emotivo e con pochi elementi con i quali orientarci, vediamo esasperate le difficoltà del processo decisionale”
Il nostro cervello si è evoluto in modo da gestire la complessità del mondo attraverso procedure semplificate.
Ciononostante, abbiamo la tendenza a sovrastimare eventi che hanno probabilità molto basse e a sottostimare eventi che hanno probabilità molto alte.
Per fortuna il cervello umano non può fare a meno di adattarsi alle nuove situazioni altrimenti non sopravvive o sviluppa una serie di disturbi…
L’adattamento ci consente di superare qualsiasi tipo di problema perché
dobbiamo trovare schemi che rientrino nella normalità a cui siamo abituati o in quella che creiamo ex novo.
Succederà ancora, quando tutto questo sarà finito e ci riadatteremo rapidamente e con gioia alla nuova normalità sopravvenuta.
Come ben sappiamo, nel nostro Paese, nel quale il welfare è essenzialmente demandato alla cura “endofamiliare”, la pandemia ha riportato prepotentemente in auge il tema della rete familiare e, in generale, affettiva.
All’epoca della cosiddetta economia di sussistenza, l’unione di due famiglie o di due gruppi parentali più poveri costituiva una sorta di riparo dalla povertà.
Nei ceti più elevati, invece, la relazione familiare, per lo più combinata, consentiva di incrementare patrimoni e status sociale. In entrambi i casi, la famiglia era funzionale al benessere familiare.
“Nella opulenta società contemporanea, nella quale hanno anche fatto irruzione i diritti delle persone, l’amore ha potuto sganciarsi dalla necessità economica. Il costituire una famiglia ha perso attrattiva rispetto ai vantaggi di una vita da single, in cui si deve provvedere solo a sé e si è liberi di abbandonarsi a tutti gli amori che si incontrano”
Come attesta l’ISTAT, in Italia un nucleo su tre è formato da una persona sola: il trend è in costante aumento da anni.
Questo fenomeno (uomini e donne single) porta con sé la trasformazione della organizzazione sociale e il cambiamento della struttura psicologica delle persone.
“Persone solitarie per scelta, per necessità, per eventi della vita”
Ma quando la condizione di single è voluta, l’intento è proprio di evitare di scoprirsi diversi grazie alla relazione con l’altro, la sola in grado di demolire le difese dietro le quali si arrocca il nostro io, per paura di consegnarsi a un’alterità che incrina l’identità e che, nel contempo, ci consente di avvertire, oltre noi stessi, l’altro da sé.
Si esce dalla propria solitudine solo mettendo in gioco la propria autosufficienza e consentendo all’altro di raggiungere la nostra identità protetta.
L’individualista taglia ogni relazione sociale e assume come regola della propria vita solo ciò che “sente”: un criterio che porta al collasso della vita sociale.
Libertà di scelta che si traduce nell’astensione dalla scelta.
Non possiamo, nel contempo, vivere alimentandoci solo di noi stessi e fare riferimento a un contesto rassicurante e comune.
Condizione, quest’ultima, necessaria per aprirsi a ciò che “non siamo”, che è poi la scoperta del mondo, nella quale l’amore ci accompagna quando non si rattrappisce in uno sterile amore di sé…