di Alberto Busini

insegnante e Presidente del Circolo Fotografico

“Estate 1826” – San Severo

La parola serendipità, italianizzazione del termine inglese “serendipty”, individua il fare nuove scoperte casualmente, oppure il trovare una cosa mentre se ne sta cercando un’altra con, a margine, l’ingenerarsi di un sentimento di felicità.

Di serendipità si sono occupati molti autori, come Umberto Eco e Carlo Ginzburg.

Lo scrittore Massimo Mongai ha approfondito questo argomento, tanto da scriverci un libro: Serendipità, istruzioni per l’uso, Robin, 2007. In effetti, in molti si sono cimentati nel cercare di spiegare la serendipità in modo semplice, chiaro e diretto ma la definizione che, in modo anche scherzoso, risulta più efficace è quella di Julius Comroe Jr., ricercatore biomedico americano, per il quale essa equivale a “…cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino“.

Senza ‘scomodare’ i molteplici eventi fortuiti che nel corso della storia hanno determinato epocali scoperte geografiche e scientifiche, si dirà di come la serendipità ha influito nella storia della fotografia e di come può incidere nel fare fotografia ai nostri giorni”

Nell’ambito della fotografia, l’errore e la casualità hanno giocato un ruolo di fondamentale importanza fin dalla prima immagine di Joseph Nicéphore Niépce realizzata nel 1826.

Niépce che era dedito alla ricerca di metodi di stampa, dalla litografia all’incisione, scoprì casualmente che il bitume di Giudea con il quale si impregnavano le lastre di rame sulle quali successivamente si appoggiavano i disegni da incidere, se esposto alla luce, induriva e diveniva insolubile, nella parte non coperta dal disegno. Era nata l’eliografia.

Louis Daguerre, compresa l’importanza della scoperta, se ne appropriò per realizzare, nel 1839, il primo dagherrotipo, ovvero una prima immagine fotografica. A quanto pare del tutto casualmente grazie a un cucchiaio d’argento dimenticato su una lastra iodata.

Altri casi di serendipità in fotografia possono essere a buon diritto considerate le “solarizzazioni” di Man Ray (1890-1976)  e le “ossidazioni” di Nino Migliori (Bologna, 1926) che, negli anni, hanno influenzato il progresso fotografico.

Al di là della ricerca, che ha animato le menti di coloro che hanno segnato la storia della fotografia, vanno considerati gli “errori” che, non solo hanno rotto gli schemi dell’ortodossia tecnica, ma che sono poi diventati vere e proprie pietre miliari di nuove forme di linguaggio fotografico.

È il caso della famosissima “Th.Schneider n.6” di Maurice Croquet (Figura 1)  scattata in occasione del Grand Prix de Automobile de France nel 1913 da Jacques-Henri Lartigue (1894-1986).

Quest’ultimo era consapevole di aver fatto una pessima foto sia per la deformazione della ruota dovuta all’anamorfosi determinata dalla lentezza dell’otturatore a tendina sia in quanto l’automobile appare tagliata e sia perché la foto non è perfettamente a fuoco  e le persone sembrano librarsi nell’aria.

Tutti questi motivi avevano indotto Lartigue a scartare la foto e a tenerla conservata in un cassetto”

Solo successivamente, grazie alle avanguardie surrealiste, tra tutti Man Ray, quelli che per Lartigue erano dei difetti vennero volutamente ricercati per impressionare nelle immagini il senso del dinamismo e della velocità.

Con il passare degli anni, quell’imperfezione era diventato uno stilema fotografico tanto che negli anni ‘50, Lartigue recupera la sua foto e dichiara: “…gli insuccessi sono del tutto naturali. Servono da lezione. È per questo che bisogna conservare anche le fotografie che non ci soddisfano, perché fra tre, cinque, o dieci anni vi scopriremo magari qualcosa di ciò che un tempo avevamo sperimentato“.

Altro “errore”, questa volta voluto, è quello di Ernst Haas e si definisce “panning“. Ernst Haas (1921-1986), il più grande fotografo a colori degli anni ’50,  ossessionato dal perimetro del fotogramma, che, in qualche modo, sente imbrigliare inflessibilmente il fluire della realtà, prova a superarne la staticità affidandosi al panning. Compie così un capovolgimento completo dal punto di vista del linguaggio. Attraverso il panning, Haas, farà in modo che sia lo sfondo, nella realtà fermo, a farsi carico di trasmettere il senso del movimento del soggetto (figura 2).

Un altro fulgido esempio di serendipità possiamo ritrovarlo nello storico reportage fotografico di Robert Capa, il quale documentò il D-Day, lo sbarco delle truppe americane in Normandia avvenuto il 6 giugno del 1944 sulla spiaggia denominata in codice Omaha Beach.

Le immagini, oggi come ieri, appaiono sfocate. Secondo la versione ufficiale, fu un errore fatto in camera oscura da parte di un impaziente assistente a Londra. A causa di questo errore, delle 106 fotografie (quattro pellicole) che Capa scattò quel giorno, solamente undici sono sopravvissute e sono state pubblicate dall’agenzia Life con la quale collaborò tutta la vita.

Queste foto, probabilmente per errata impostazione dei tempi e/o per il tremore da spavento, sono delle foto tecnicamente imperfette, eppure non c’è nulla di più perfetto di questi scatti imperfetti”

Ai nostri giorni è possibile sperimentare, in maniera assolutamente edonistica, la serendipità in fotografia mediante delle tecniche di scatto e/o a seconda dei soggetti che ritraiamo.

Un primo modo per realizzare tale scopo è sicuramente il ricorso alla tecnica della multiesposizione.  Nata con buona probabilità per puro errore, essa sfrutta la possibilità di impressionare un singolo fotogramma con due immagini diverse effettuando due o più scatti in momenti diversi. Tale tecnica sicuramente consente sviluppi decisamente creativi della fotografia e richiede notevoli doti di previsualizzazione e una buona padronanza del mezzo fotografico. Nonostante il possesso di tali requisiti, il risultato finale riserva sempre delle piacevoli sorprese all’autore. Il suo impiego può sostanziarsi nel fondere in un fotogramma elementi contrastanti (ad esempio campo e controcampo), nel dare il senso del movimento, nel cercare di realizzare effetti cromaticamente piacevoli ed accattivanti e, perché no, conferire un ché di astratto a quanto ripreso…

Altre opportunità di provare il piacere della serendipità è sicuramente rappresentato dal fotografare l’acqua nelle sue molteplici forme, in ambiente naturale o in studio.  È sempre assai affascinante ritrarre l’ammaliante potere che l’acqua ha di scomporre la realtà visiva e restituirla in modalità del tutto nuova, originale ed irripetibile.  Per citare solo alcuni esempi, è possibile fotografare la pioggia e le goccioline su un vetro, le gocce che cadono in un catino generando imprevedibili, plastici e godibilissimi effetti (figura 6). Senza contare i riflessi cangianti che è possibile riprendere su uno specchio d’acqua, le onde del mare nelle loro effimere evoluzioni, gli effetti serici di cascate riprese con tempi lunghi.

Anche il light painting, offre delle ghiotte opportunità in quanto a scoperte casuali e felici. La sua traduzione letterale è “dipingere con la luce”. Trattasi di una tecnica fotografica molto usata per ottenere foto di grande e piacevole effetto, utilizzando una qualsiasi fonte di illuminazione, un ambiente buio e lunghe esposizioni per creare composizioni luminose o donare spettacolari luminescenze ai soggetti ritratti. È possibile distinguere due modalità di impiego del light painting:

1) il light painting on camera

2) il light painting off camera

Nel primo caso, la fonte di luce si pone davanti alla fotocamera, che dunque la fotografa in modo diretto. Questo avviene per esempio nella scrittura con la luce, nella silhouette, nelle strisce di luce, e in generale tutte le volte che il fotografo disegna direttamente degli effetti muovendo la sorgente di luce davanti all’obiettivo.

(https://www.behance.net/gallery/72573909/The-art-of-Light-Painting-Photography).

Nel secondo caso, la fonte di luce non proviene dal campo fotografato, ma dal di fuori di esso, illuminando i soggetti della foto.

E’ questa la tecnica che dà le rese “pittoriche” più spettacolari.

(https://haroldrossfineart.wordpress.com/category/studio-still-life-photography/page/2/).

Un mondo affascinante (che ne dite?) per chi lo conosce e lo sperimenta per passione o professione,  un mondo, invece, tutto da scoprire per chi è alle prime armi o si è soltanto incuriosito…

È proprio pensando a questi ultimi che omettiamo di riferire di altre tecniche fotografiche la cui attuazione condurrebbe a effetti imprevisti, stranianti e piacevoli, lasciando che, per adesso, il sassolino gettato nello stagno con questo articolo produca i giusti effetti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Abilita le notifiche per non perderti nessun articolo! Abilita Non abilitare