Nel dibattito sulla libertà non poteva mancare la questione Europa. In molti si dicono scontenti di questa Europa. Molto colorito è stato colui, che si professa indiscutibilmente europeista, che ha chiamato “stupidi” alcuni contenuti dei Trattati. Quindi si impone la domanda: che significa essere europeisti? Essere a favore dell’Europa dei popoli? Delle regioni? Della solidarietà?
L’Europa che viviamo è un luogo in cui si incontrano i maggiori interessi continentali che brigano per far crescere i settori dell’economia che rappresentano. Tra questi interessi non mancano gruppi di respiro planetario. Sembra infatti che la burocrazia europea non abbia una sua propria visione di sintesi del futuro del continente ma sembra come se si fosse ritagliato il compito di mediare tra gli interessi (o i questuanti) che si affacciano alla sua attenzione. Purtroppo questi interessi essendo portati da organizzazioni sovranazionali -come è ovvio che sia- anche non europei inducono a unificare le politiche per tutti gli europei. Esempio lampante è il tasso di interesse antinflazione; è certo che il tasso di inflazione è diverso da un’area all’altra di eurolandia ma il tasso di interesse imposto è unico. È quindi ovvio che il tasso di interesse unico per tutti si rivelerà troppo alto per certuni e troppo basso per altri. Inoltre la signora Lagarde non può non sapere che esistono imprese indifferenti alle variazioni dei tassi mentre altre, più indebitate, sono direttamente colpite da questa misura. Fino a quando il tasso di interesse era frutto dell’incontro tra domanda ed offerta di danaro era inteso come prezzo di mercato per l’uso del capitale e quindi accettato come ineluttabile; questo significava che l’interesse pagato da certuni era incassato da certi altri che detenevano quel capitale. Oggi il capitale si può stampare illimitatamente quindi il prezzo del suo uso non esiste più ma al suo posto il tasso di interesse è divenuto uno strumento di politica economica manovrato indiscutibilmente da chi ne ha la facoltà. Quindi gli interessi pagati alla banca assomigliano sempre più ad una tassa voluta per il perseguimento di quegli obiettivi che protempore vengono scelti dalle Autorità -non votate e quindi non democratiche- preposte. Strumento che inoltre agisce su certuni e non su certi altri. Per esempio: una azienda quasi monopolista che controlla gran parte del mercato energetico nazionale usualmente non ha bisogno di andare in banca ad aprire un mutuo o chiedere un prestito ma se mai lo facesse potrà recuperare il costo in interessi del prestito aumentando un poco il prezzo dell’energia venduta. Al contrario il verdumaio sotto casa avrà difficoltà maggiori a pagare la rata del mutuo sulla sua casa e quindi ad acquistare la verdura che vorrebbe vendere nella sua bottega. A seguito dell’aumento del costo del danaro la prima società AUMENTERA’ i suoi prezzi mentre la seconda azienda dovrà RIDURLI per fare cassa. E questa riduzione dovrebbe compensare quell’aumento e soddisfare l’intento antinflazionistico delle Banche Centrali? Cioè le banche centrali per combattere l’inflazione puniscono le piccole imprese premiando le grandissime o comunque le più patrimonializzate? Sapendolo? E sapendo che questa non è altro che politica strictu sensu? Tutto questo potrebbe essere scambiato per uno scherzo se non fosse drammaticamente disastroso.
È evidente che si tratta di una politica sbagliata perché inventata per un altro mondo in cui non esistono le attuali profonde distorsioni della politica economica.
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