Cultura e coraggio medicine di pace
di Enzo Varricchio
“… le guerre hanno inizio nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”
(Preambolo della Costituzione UNESCO, 1945)
La guerra è vicina e fa paura.
Non esistono guerre giuste ma ingiustizie che vorrebbero giustificarle.
La guerra è sempre illegale, almeno a leggere l’Art. 2 paragrafo 4 dello Statuto delle Nazioni Unite e l’art. 11 della Costituzione italiana.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, i politici di tutti gli Stati aderenti all’ONU, si sono assunti il compito precipuo di farci vivere in pace, di impedire a ogni costo che gli orrori della Shoah e dell’atomica potessero ripetersi. Anche se, sin da subito, si sono affannati a procurarsi armi di distruzione di massa, a cospirare con i loro servizi segreti, a scatenare guerre tattiche, con la scusa paradossale di tenere lontani i conflitti in nome del distorto principio del se vis pacem para bellum.
La crisi cubana e il Vietnam durante la guerra fredda, la guerra in Kossovo dopo la dissoluzione dell’ex Unione Sovietica, sono tuttavia sembrate drammatiche parentesi in uno scenario di sostanziale distensione ed equilibrio dei rapporti internazionali. Ma il fuoco covava sotto la cenere delle tante “piccole” guerre locali, fomentate e/o armate da interessi esterni alle parti in conflitto.
Perché la guerra è sempre una sconfitta per tutti i popoli che la combattono, come ha detto Papa Francesco, ma è una vittoria per chi lucra su conflitti e catastrofi.
Il nuovo corso bellicista si può datare a inizio secolo, con il tragico attentato alle Torri Gemelle dell’11/09/2001, che portò all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Poi sono venute la Libia, la Siria e ora l’Ucraina e la Palestina.
Attualmente, sono attivi ben 56 conflitti, il numero più alto mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale (Global peace index, di giugno 2024, Institute for Economics & Peace).
Dietro di essi ci sono gli interessi economici e geopolitici delle aziende globali e degli stati ricchi.
In occidente, l’alta finanza, producendo moneta virtuale, e le multinazionali, producendo armi, cibo, moneta, energia, farmaci, ICT, media, campagne elettorali, nonché, quando servono per espandersi, anche guerre, dirigono le politiche di governi statali che hanno di fatto esautorato per piegarli incondizionatamente ai propri voleri. Sono loro le superpotenze neocolonialiste di questo secolo.
A oriente, invece, i governi dittatoriali hanno conservato le loro prerogative, respingendo l’assalto delle big companies con politiche nazionalistiche e spesso spedendo in galera o eliminando i loro capi, come ha fatto Putin con gli oligarchi Mikhael Mirilashvili, Vladimir Gusinskij di MediaMost e Michail Chodorkovskjj di Yukos, La retorica propagandistica del leader russo si rivolge non solo contro le mire espansionistiche degli stati occidentali ma contro qualunque ingerenza delle macroaziende private sulla sovranità nazionale.
Ora ci sono due blocchi di nazioni forti in lotta per la supremazia: Nato+Israele contro BRICS+Corea+Iran. Entrambi sono politicamente verticalizzati e dirigisti, ma ormai sempre più disinteressati a trovare soluzioni diplomatiche, quanto pronti a lucrare sulle risorse dei vinti e sulla ricostruzione postbellica, nonché più distanti e armati fino ai denti. L’ONU, paralizzata dai veti incrociati, si limita alle condanne formali ma non è in grado di frenare l’escalation militare.
Chi vincerà tra i contendenti? A chi toccherà il primato nel nuovo ordine mondiale?
Venti di guerra spirano anche nella direzione della nostra penisola.
Con le sue 120 le basi Nato, e le 20 basi segrete degli Stati Uniti (fonte Wired), con il suo impegno nel fornire armamenti a Ucraina e Israele, l’Italia è un potenziale obiettivo militare nello scacchiere di una ipotetica terza guerra mondiale.
Ma l’Italia è anche il paese con il maggior numero di monumenti, di testimonianze storiche, letterarie, artistiche, del pianeta.
Una nazione così non può entrare in guerra, non può essere bombardata, pena la perdita della maggior parte del patrimonio culturale dell’umanità.
Come la Svizzera per ragioni finanziarie, anche l’Italia deve rivendicare la propria neutralità per ragioni culturali, oltre che per la propria vocazione alla pace, astenendosi da ogni tipo di intervento nei conflitti.
Il trentaseiesimo speciale di SM non è un numero sulla guerra ma un’istanza internazionale per tenere fuori l’Italia e gli italiani da tutte le guerre, in nome della volontà di pace dei suoi cittadini e della sua primaria rilevanza culturale per l’intera umanità.
Una sola bomba su Roma, Palermo o Venezia non danneggerebbe irrimediabilmente un bene dei soli cittadini italiani ma la storia e la memoria di civiltà diverse, quali rispettivamente la romana, l’araba, la greco-bizantina, che in quelle città hanno impresso la loro orma. Un mondo senza i musei vaticani, il palazzo dei normanni o piazza san Marco, sarebbe più povero anche per gli americani, i russi, i tedeschi, i francesi, i giapponesi e i cinesi, gli australiani e i neozelandesi, gli argentini e i kenioti, che sognano tutti di visitarli almeno una volta nella vita. Non potremo mai recuperare i danni culturali provocati dai bombardamenti di Napoli del 1943 e dell’abazia di Montecassino del 1944.
La cultura è l’unico luogo da cui proviene la pace, perché la conoscenza, l’istruzione e la scienza recano in sé il bisogno del dialogo, il rispetto universale della giustizia, dello stato di diritto. dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che sono affermati dalla Carta delle Nazioni Unite per i popoli del mondo, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.
Il momento è fatidico e non bisogna esitare a chiedere, nelle forme pacifiche e democratiche, una qualche tutela preventiva del più grande patrimonio culturale, artistico, monumentale e paesaggistico del pianeta.
Altrimenti, a che servirebbe l’UNESCO, che al suo art. 1, comma secondo, punto c), indica tra i suoi scopi precipui “Mantenere, accrescere e diffondere la conoscenza: assicurando la conservazione e la protezione del patrimonio mondiale di libri, opere d’arte e monumenti di storia e scienza, e raccomandando alle nazioni interessate le necessarie convenzioni internazionali” ?
La stragrande maggioranza dei cittadini italiani è contraria a ogni intervento militare. Personalmente, preferirei morire che sporcare le mie mani del sangue di presunti nemici. Gandhi, Mandela, Martin Luther King, Jr., Desmond Tutu, Muhammad Yunus e tanti altri ci hanno insegnato come contrastare pacificamente le ingiustizie e persino vincerle.
Per il momento, nessuno ci ha bombardati e non abbiamo bombardato nessuno, grazie a Dio. Possiamo e dobbiamo uscire da questa follia collettiva che non appartiene alla ormai consolidata tradizione pacifista italiana, incarnata da Aldo Capitini, Norberto Bobbio, dalle associazioni Mani tese, Pax Christi e Missione oggi, premio Nobel per la pace nel 1997.
SM lancia quindi la proposta di chiedere al nostro governo di proclamare la neutralità culturale italiana, astenendosi dal sostenere alcuna delle parti in lotta.
Proposta utopistica? Forse. Ma quali vere proposte di pace duratura sono ora sui tavoli delle diplomazie internazionali? Quello italiano potrebbe essere un esempio per altre nazioni.
Ci vogliono cultura e coraggio, medicine di pace, ma non è forse vero che senza utopie non si sarebbe fatta la storia e l’umanità sarebbe rimasta trogloditica?
Di questi tempi, senza utopie, si rischia di ritornare allo stato trogloditico, facendo la fine della leggendaria Atlantide platonica, forse implosa per eccesso di armi tecnologiche.
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