La contabilità pubblica dei conflitti
di Francesco Scorrano
La guerra, da sempre, non è solo un confronto di ideali o poteri, ma anche un grande affare economico. I contratti di ricostruzione, le forniture di risorse e le influenze politiche che si ridefiniscono una volta terminato il conflitto, diventano una nuova forma di potere. La retorica dei governi che giustifica l’aumento delle spese militari può, quindi, nascondere una prospettiva più opportunistica, dove la partecipazione al conflitto garantisce un ruolo privilegiato nel dopo-guerra, quando le rovine si trasformano in opportunità d’investimento.
Siamo dunque agenti attivi in questa contesa globale o solo pedine manovrate dalle logiche di Stati più potenti, in cerca di un vantaggio strategico nel lungo termine? Questa ambiguità si riflette nelle scelte economiche fatte a discapito del benessere dei cittadini, come il taglio della spesa sociale, mentre i budget per le armi continuano a lievitare. Qual è il prezzo reale da pagare per il futuro che ci viene promesso, e a chi veramente giova questa partecipazione?
Rispondere a queste domande richiede uno sguardo lucido e appassionato sulle dinamiche internazionali, evitando di cadere nelle narrazioni preconfezionate che spesso accompagnano i tempi di guerra. Forse, il vero conflitto non si combatte solo sui campi di battaglia, ma anche dietro le quinte, dove si ridisegnano gli equilibri economici.
L’Italia
L’Italia, come molte altre nazioni, si trova a dover affrontare un delicato equilibrio tra le necessità di “difesa” e la gestione del debito pubblico, già tra i più elevati in Europa. In un contesto geopolitico sempre più instabile, con la guerra in Ucraina e le crescenti tensioni internazionali, anche il nostro Paese ha visto un incremento delle spese militari.
Negli ultimi anni, l’Italia ha dovuto incrementare le proprie spese per la difesa, in parte come risposta agli impegni assunti in ambito NATO, in parte per affrontare le nuove sfide della “sicurezza internazionale”. Nel 2023, il budget italiano per la difesa ha superato i 26 miliardi di euro, un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Gran parte di questo aumento è stato destinato alla modernizzazione dell’equipaggiamento militare e all’acquisto di nuovi sistemi d’arma, come gli aerei F-35 e nuove navi militari.
Questi incrementi di spesa sono visti come necessari per garantire la sicurezza del Paese e adempiere agli obblighi internazionali, ma non senza ripercussioni sul bilancio pubblico. L’Italia, con un debito pubblico che ha già superato il 140% del PIL, si trova in una posizione di vulnerabilità economica. Aumentare ulteriormente la spesa militare in questo contesto significa necessariamente sacrificare altri settori del bilancio.
Il debito pubblico italiano rappresenta uno dei principali ostacoli alla crescita economica del Paese. Ogni aumento della spesa pubblica, se non adeguatamente bilanciato da entrate fiscali, comporta un ulteriore indebitamento. Quando le spese militari crescono, il governo si trova di fronte a una scelta difficile: ridurre la spesa sociale, aumentare le tasse o ampliare il deficit. Ciascuna di queste soluzioni ha conseguenze economiche e politiche rilevanti.
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