Il presepe, attimo di eternità tra arte e devozione
di Jepp Gambardella
PRESEPE sì PRESEPE no
Si può essere pro o contro il presepe, si può pensare che sia qualcosa di obsoleto, una “pazziella”, o che sia una manifestazione di arte sempre in linea con i tempi, si può preferire l’abete o essere devoto alla Sacra Famiglia in terracotta o legno o altra materia qualunque essa sia, oppure, come accaduto negli ultimi anni, affermare che il presepe non vada fatto nelle scuole per un presunto “rispetto” nei confronti di figli di immigrati di altre religioni, ma in ogni caso su una cosa dovremmo essere tutti d’accordo, ed è che il presepe è un attimo in cui si arresta il tempo e lo spazio, un attimo di eternità, che fotografa la realtà di un momento storico eterno, comunque lo si voglia considerare.
Ciò premesso, credo che la polemica tra chi è pro o contro il presepe per una presunta forma di rispetto nei confronti degli immigrati sia mal posta e frutto di ignoranza, atteso che la riproduzione del momento della nascita di Gesù dovrebbe essere momento sacro per tutte le grandi religioni monoteiste, compresa quella musulmana, in considerazione della sacralità e centralità della figura di Gesù Cristo anche per l’Islam, per il quale Gesù era un grande ed ascoltato profeta. Infatti, diversamente che per la fede ebraica, per la quale Gesù era solo uno dei tanti falsi messia che all’epoca si ritenevano investiti di una missione, per la fede musulmana Gesù è profeta, messaggero di Dio, servo di Dio, sebbene privo di essenza divina o figlio stesso di Dio. Ciò non toglie che il ruolo riconosciutogli nel Corano ne fa un personaggio di estremo rilievo e sacralità, e in quanto tale, onorato e rispettato anche per l’Islam. Ecco quindi come diventano prive di senso le polemiche e i distinguo relativamente alla rappresentazione della nascita di Gesù che avvengono con i presepi un po’ dappertutto in questo periodo, edifici pubblici compresi, come scuole, uffici, ospedali, etc.
STORIA E TRADIZIONE
Il presepe (da praesepium, siepe, recinto, mangiatoia) è una tradizione quasi millenaria, risalente per quanto affermano i testi storici addirittura a S.Francesco che, si narra, durante un viaggio in Terra Santa nel 1222, ebbe modo di osservare le rappresentazioni della nascita di Gesù che avvenivano in quei territori, tra Betlemme e Gerusalemme, ancora intrisi della presenza e degli avvenimenti leggendari che erano avvenuti quasi 10 secoli prima. Colpito dall’intensità emotiva di tali rappresentazioni, S. Francesco chiese l’autorizzazione al Papa dell’epoca (Onorio III) di poter rappresentare la nascita di Gesù per il Natale successivo in luogo aperto, essendo vietate rappresentazioni in chiesa. Onorio III lo autorizzò, e così il Natale dell’anno 1223 vide a Greccio, presso Rieti, il primo presepe vivente della storia. Era tuttavia una rappresentazione molto diversa da quelle di oggi, in una grotta c’erano il bue e l’asinello, e nella mangiatoia il piccolo Gesù. Per avere invece un presepe con statuine e con Sacra Famiglia e Magi bisogna attendere circa 60 anni, e lo scultore Arnolfo di Cambio. Sarà a partire dal 1500 che il presepe si arricchirà di nuove figure prese dal popolo, soprattutto nel Regno di Napoli grazie a S. Gaetano di Thiene, e le ridotte dimensioni dei pastori consentiranno di allestire presepi, inizialmente nelle chiese, poi a partire dal 1600, anche nelle case patrizie del Regno di Napoli. Sarà allora, soprattutto durante il regno di Carlo di Borbone, che vi sarà una vera e propria competizione a realizzare i presepi più grandi e più belli, tra Chiese, Confraternite e case patrizie e nobiliari, e si incrementerà la tradizione che vedrà S. Gregorio Armeno come la culla artigianale della nuova moda. Da allora la tradizione presepistica ha ancora di più allargato la sua dimensione, incurante delle polemichette di qualche prelato di provincia con scarse nozioni religiose interculturali, e di qualche benpensante di ancor più mediocre e ristretta visione del mondo delle religioni nei loro aspetti simbolici allargati.
L’esperienza francescana del presepe spiega molto, ma non tutto.
Ad esempio una eredità che si è trasfusa e fusa probabilmente in quella del presepe francescano potrebbe essere quella delle “Sigillarie”, statuette in terracotta che in epoca romana rappresentavano i Lares domestici, ovvero gli spiriti degli antenati che proteggevano la casa e la famiglia, e che normalmente erano allocati in casa, in appositi altarini a forma di nicchia o di capanna, sovente con candele accese, come avviene ancora oggi in molte case del sud Italia con le fotografie dei defunti. Queste Sigillarie avevano una festività apposita in epoca romana, nel periodo dei Saturnali, intorno al solstizio d’inverno, ovvero tra il 20 e il 25 dicembre. In quel periodo si creava attorno ai Lari un piccolo recinto, appunto un praesepium, con piccole scodelle di cibo che venivano lasciate dai bambini della casa per l’arrivo degli spiriti dei Lari, ovvero nonni e bisnonni defunti, e il giorno dopo le scodelle erano sostituite da piccoli manufatti e giochi per bambini, lasciati dai parenti morti in segno di continuità affettiva con i piccoli della casa. E’ facile vedere in questa usanza, sovrappostasi alla tradizione cristiana della nascita di Gesù Cristo, nel giorno della festa orientale del Sol Invictus, nel solstizio d’inverno, un chiaro antecedente storico della tradizione presepiale, rafforzatasi, ma non certo introdotta, dall’autorevole e storico antecedente francescano di Greccio.
Per venire ai giorni nostri, il presepe lascia una grande libertà di rappresentazione, di stili, di materiali, di forme. L’importante è che sia rappresentata la nascita di Gesù, con la Sacra Famiglia composta da Maria, Giuseppe, il bue e l’asinello in un ambiente che ricordi una stalla oppure una rovina di tempio, a testimoniare la vittoria della fede cristiana sulle religioni pagane precristiane. Altra presenza necessaria sono i Magi, Gaspare Melchiorre e Baldassarre, a piedi o a cavallo, spesso usati a cavallo in corso di avvicinamento e a piedi in occasione della Epifania, il 6 gennaio, con i doni che tutti sanno, oro, incenso e mirra, simbolo del percorso della cometa o dello stesso Sole, da Oriente verso Occidente. I doni recati dai Magi, infine, sarebbero rappresentativi della fede (l’oro portato dal vecchio Melchiorre), della santità (l’incenso, portato dal giovane Gaspare) e della passione e umanità di Gesù (la mirra, portata dal principe africano Baldassarre). I Magi rappresentano anche le genti dei 3 continenti conosciuti nell’antichità, e simboleggiano la dimensione universale ed ecumenica del Cristianesimo.
I PERSONAGGI
Due pastori sono molto importanti nella rappresentazione presepiale, anche se molti ne ignorano l’esistenza. Sono Benino, il pastorello addormentato, e il Pastore della Meraviglia, quello che reca in dono l’estasi dell’ingenuo, tanto povero quanto pronto ad accogliere con la meraviglia dei semplici l’avvento del Signore.
Qualche parola merita Benino, il giovane addormentato. E’ lui, tra i pastori che fanno da corollario alla Sacra Famiglia, il personaggio principale del presepe, anche se molti lo ignorano. La rappresentazione della nascita del Bambino nasce infatti da un suo sogno, come ci spiega Andrea Perrucci, il Canonico che nel 1698 pubblica la Cantata dei pastori, ripresa e riscoperta ormai 50 anni fa dal Maestro Roberto De Simone e poi dal Maestro Peppe Barra. Benino si lascia andare al sonno, e immagina la nascita di Gesù Bambino trasposta negli anni della scrittura della Cantata, la fine del 17esimo secolo, con tutta una pletora di personaggi del popolo che hanno tutta una simbologia religiosa e civile.
Ad esempio i mendici, con varie patologie, zoppicanti, ciechi, poveracci, rappresentano le anime del purgatorio, destinate a patire ma ad avere accesso, infine, al Regno dei Cieli, mentre pastori e pecorelle dovrebbero rappresentare il popolo dei credenti. Spesso si trova anche il Ciccibacco, un pastore grosso e avvinazzato, di solito vicino a botti di vino, che rappresenta il paganesimo, in particolare i riti bacchici, il passato che a volte si affaccia al giorno d’oggi. Dovrebbe esserci anche un pozzo e un ponticello, luoghi di passaggio tra il bene e il male, e vicino la lavandaia, il bene, la virtù, memore della Annunciazione, dove l’Arcangelo trovò Maria proprio vicino ad una fonte. Dove compaiono i venditori di cibi, spesso essi assumono il significato dei mesi dell’anno a seconda del cibo venduto. Di solito il macellaio o il salumiere rappresenta gennaio, il venditore di ricotta o formaggi in genere, febbraio, il venditore di polli, marzo; il venditore di uova, aprile; il fruttaro si associa a maggio; il panettiere, a giugno; il venditore di pomodori, luglio; venditore di fichi o vinaio, settembre; venditore di cacciagione, ottobre; venditore di castagne, novembre; pescivendolo o pescatore, dicembre.
LUOGHI E OGGETTI
Un discorso a parte merita la locanda, luogo di vizi e perdizione, di esagerazione con cibi di tutti i tipi, che costituisce l’ingresso dell’Inferno, con l’oste/Belzebù che attenta a ignari avventori. Nella cantata dei pastori di De Simone, Razzullo e Sarchiapone, lo scrivano e il suo bizzarro compagno di avventure, sono attratti per la loro fame atavica dalla locanda, ma rischiano di cadere nei tranelli dell’oste diabolico, munito sempre di una randello nascosto. Di solito la locanda si trova nella parte opposta rispetto alla Sacra Famiglia.
Spesso nei presepi si trova un carretto di masserizie ed oggetti di uso comune. Si tratta del venditore di roba usata, oppure, più spesso, del carretto dello sfrattato da casa, il cd. “Sciaraballo”, dal francese char de bancs, ovvero il carretto utilizzato per trasportare le masserizie per spostare povere cose da un appartamento all’altro. Viene anche chiamato “o’ carr’ d’o’ 4 e’ maggio”, dalla data che nel ‘600 era indicata per effettuare gli sfratti in città, locuzione che ancora oggi si usa (“ma che r’e’ stu quatt’ e’ maggio?”) per indicare confusione e trambusto.
L’ARTE NAPOLETANA
In definitiva, il presepe è una passione che avvince e avvolge nella dimensione in cui si approfondisce il suo significato nei più piccoli e apparentemente irrilevanti particolari, ma anche chi si tiene appena in superfice, non può negarne il grande fascino, che proviene dalle sue svariate rappresentazioni nel mondo. Tra queste, quella che si è storicamente affermatasi negli ultimi tre secoli è indubbiamente quella del presepe napoletano di ambientazione tra ‘600 e ‘700, tutt’ora costituente la sua massima espressione artistica, come testimoniano presepi storici come il cd. Presepe Cuciniello, presso la Certosa di S. Martino, o quelli recenti ma di altissima scuola come lo Scuotto, presso S. Maria della Sanità, o da ultimo, il Presepe dei Fondaci, presso la chiesa di S. Marta, a Napoli, nei pressi di piazza del Gesù. Proprio quest’ultimo è la sua versione più recente ad opera della Associazione Presepisti Napoletani, veri maestri del genere, ambientato nella Napoli di fine 800, con personaggi famosi come il poeta Di Giacomo, la scrittrice Serao, il giornalista Scarfoglio e tanti altri. Visita imperdibile per chi si trovasse a Napoli in queste festività natalizie e fino al prossimo febbraio.
IL PRESEPE DI EDUARDO
In definitiva, per chiudere il discorso artistico sull’argomento, non si può non richiamare la famosissima domanda che Luca Cupiello, nella immortale opera eduardiana, rivolge sul letto di morte al figlio Tommasino, espressione della ignavia e della insofferenza giovanile verso la Sacra Rappresentazione, (“te piace o presepe, eh?”) ottenendo, finalmente, dopo innumerevoli “no”, il sospirato “si!”, che vuol dire, in articulo mortis, nel dolore e nel lutto, condivisione di valori e di tradizioni, che Luca esprime con la testarda costruzione del presepe ogni anno, nell’indifferenza familiare. Ma questo è un altro discorso.
PIC: Giovanni Lanfranco, L’Adorazione, Castello di Alnwick, 1607–08